A cura di Vincenzo Pira e Marco Pasquini
Dopo nove anni di guerra, la situazione economica della Siria è tragica e la crisi finanziaria, che ha coinvolto anche il Libano, le ha assestato l’ultimo colpo. Negli ultimi decenni le banche del Libano sono state una valvola di sfogo per gli investitori siriani. Con il crollo della lira libanese a oltre sei mila lire per un dollaro, e la caduta della lira siriana stessa, la grave crisi finanziaria sta scavalcando quella economica in entrambi i paesi.
In meno di un anno, la lira siriana ha perso oltre il 70 per cento del suo valore rispetto al dollaro, mentre i prezzi dei prodotti alimentari di base sono aumentati del 69 per cento, secondo il Programma alimentare mondiale.
La qualità della vita del cittadino siriano registra questi dati che riflettono una situazione forse irreversibile per i prossimi anni. Da gennaio 2010 ad oggi il costo degli alimenti basici è aumentato di almeno 27 volte. Negli ultimi 5 mesi il costo degli alimenti indispensabili si è triplicato. Negli ultimi 8 anni il consumo medio di carne è diminuito del 95%. I forni governativi che sussidiavano gratuitamente la distribuzione di pane, producendo 7 giorni su 7, a maggio 2020, producono 2 volte a settimana con una diminuzione del 75%. Il consumo di elettricità è crollato del 60% con una riduzione giornaliera del 30% del tempo di fornitura. Il Governo Siriano ha creato il sistema di tessere di distribuzione dei beni primari (pane, uova, zucchero, farina, ceci, olio semi e bombole di gas per la casa) che ha provocato il controcanto di un fiorente mercato nero, che i siriani chiamano “Mercato Vero”.
La sconfitta dell’ISIS e il controllo territoriale da parte del governo di Damasco nella quasi totalità del paese, non ha portato, purtroppo, alla soluzione del conflitto.
I presidenti di Russia, Turchia, Iran si sono incontrati in video conferenza il primo luglio e hanno espresso nuovamente la convinzione che “la guerra in Siria non può avere una soluzione militare ma deve essere risolta solo attraverso un processo politico”.
L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Otto Pedersen, continua il paziente lavoro di mediazione con, finora, scarsi risultati concreti.
La formula di mediazione, auspicata nei diversi precedenti negoziati, era fondata sul principio contrapposto di un governo e di un’opposizione, come se questi due elementi fossero gli unici attori coinvolti nel conflitto.
Il governo siriano non è mai stato rappresentato da un’entità monolitica, come non lo è mai stata l’opposizione, composta da un mosaico di alleanze spurie. I negoziati sono falliti per via dell’incapacità di includere da una parte la galassia di attori legati alle diverse formazioni islamiste e dall’altra la società civile siriana. Staffan De Mistura aveva proposto, a suo tempo, l’inclusione di professionisti civili, delle donne, dei difensori dei diritti umani e del mondo costituzionalista siriano all’interno dei tavoli negoziali. Seguendo questo esempio Pedersen ha cercato, durante i colloqui di Astana, di muoversi nella stessa direzione, puntando ad un maggiore allargamento e inclusione della maggior parte degli attori coinvolti.
Gli Stati Uniti non essendo riusciti a sconfiggere militarmente il governo di Bashar al Assad continuano le ostilità con nuove sanzioni incluse in un nuovo atto legislativo denominato “Caesar Act”. Tale legge, entrata in vigore il 17 giugno 2020, sanziona diverse personalità siriane, incluso il presidente Assad, per crimini di guerra commessi contro la popolazione civile e colpisce industrie siriane, dal settore militare alle infrastrutture e all’energia, così come privati ed entità iraniane e russe che forniscono finanziamenti o altro tipo di assistenza al governo siriano. In tale atto è previsto anche il congelamento degli aiuti destinati alla ricostruzione della Siria.
La guerra non dà segnali di fine e vede la Siria in balia di interessi esterni con effetti che la popolazione locale continua a pagare con morti, sofferenze, instabilità, distruzione della convivenza civile.