A cura di Giorgio Squadrani e Marco Pasquini
In questo Quaderno proponiamo una riflessione, dopo dieci anni di guerra in Siria, su come è stato distrutto un paese e tolto il futuro a una intera generazione. E un invito a continuare a chiedere pace e supporto umanitario adeguato alla popolazione sofferente.
Oltre mezzo milione di morti, 12 milioni di sfollati. Città e villaggi trasformati in cumuli permanenti di macerie. Scuole bombardate (con dentro i bambini), stessa sorte per gli ospedali (con dentro i malati) e per i mercati all’aperto. Un Paese devastato, sfregiato ben oltre il limite del tollerabile. Il 90% della popolazione, stima l’Onu, versa in condizioni di estrema povertà. L’economia è in caduta libera, l’inflazione è fuori controllo. Scarseggia sia il cibo sia il combustibile per riscaldarsi. Mentre la pandemia Covid19 sta dilagando ben oltre i numeri ufficiali, con un sistema sanitario in cui non si hanno più macchinari adeguati, mancano medici e infermieri. I posti letto rimasti sono perennemente occupati. Surreale immaginare l’esistenza di dotazioni adeguate di mascherine o di tamponi: manca l’ossigeno, in tante aree manca perfino l’acqua potabile. Una situazione che definire drammatica è poco. E la fine del tunnel ancora non si vede. E in questo contesto le Nazioni Unite perseguono caparbiamente la strategia di riconciliazione regionale e internazionale. L’Unione Europea e il Regno Unito ritornano alle posizioni poco realiste di dieci anni fa chiedendo un cambio di governo e continuando a dimenticare la priorità demografica della regione di Damasco dove sono negati gli aiuti umanitari a una popolazione che si ritiene politicamente avversaria.
Secondo le stime contenute nel Piano di Risposta Umanitaria 2020, redatto dalla comunità internazionale operante in Sira e coordinato dalle agenzie delle Nazioni Unite, a oggi vi sono circa 8 milioni di persone in condizioni di “insicurezza alimentare” in Siria e quasi 11,5 milioni di persone che necessitano di assistenza di vario genere (sanitaria, educativa, o di accesso ad altri servizi essenziali). La Siria è una nazione devastata da un conflitto decennale che ha provocato oltre 500mila morti e milioni di sfollati. Il livello di criticità, avvertono gli esperti, è ormai “allarmante”. Dai risultati emersi da uno studio realizzato a fine 2020 dal PAM (Programma Alimentare Mondiale) emerge che “circa il 60% della popolazione” è “in una situazione di insicurezza alimentare” ed è di gran lunga “il dato peggiore mai registrato” dall’inizio del conflitto. In una nazione abitata da circa 20 milioni di persone, l’83% della popolazione, da stime delle Nazioni Unite, vive al di sotto della soglia di povertà. Dieci anni di guerra civile, violenze jihadiste, l’emergenza profughi, le sanzioni internazionali, l’inflazione galoppante, anche nel vicino Libano, hanno messo in ginocchio il Paese e i più colpiti, come ha sottolineato l’arcivescovo maronita di Damasco, sono i più fragili, i malati, i bambini e gli anziani nel contesto di una crisi mai vista prima: “Questi ultimi mesi sono stati molto duri per i siriani, perché la lira nazionale si è di molto abbassata. Prima del nuovo coronavirus il rapporto era di uno a 1500, adesso siamo a 3600 lire per un dollaro. Uno stipendio medio è di 25/30 dollari, mentre i prezzi delle materie prime sono di molto aumentati a causa dell’inflazione. Il governo elargisce dei bonus un paio di volte all’anno, ma serve a poco. Una famiglia, in molti casi, è costretta a sopravvivere con un dollaro al giorno, o anche meno. Il popolo siriano è in condizioni terribili, senza speranza per il futuro, senza una luce in fondo al tunnel. Serve collaborazione a tutti i livelli, bisogna allentare le sanzioni e garantire la possibilità di viaggiare, di investire nella ricostruzione e nella costruzione dello stato di diritto e della democrazia”.
1. Dieci anni di guerra per procura
Quella siriana è una guerra tutt’altro che civile, iniziata in aprile del 2011 sull’onda delle cosiddette “Primavere arabe”, con proteste che chiedevano libertà, dignità, lavoro e riforme, puntando il dito contro l’autoritarismo e i privilegi di un ristretto gruppo che gestiva ogni di potere. Ma è subito diventata lo spazio di una lunga guerra per procura per il controllo e l’egemonia geopolitica ed economica tra pretese di potenze regionali e appartenenze “imperiali”.
Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Turchia, Iran, Arabia saudita e gruppi terroristi di varia natura hanno avuto un ruolo diretto e responsabilità storiche in questo conflitto. L’unico risultato geopolitico raggiunto è stato quello di aver aumentato l’instabilità nella regione, distrutto un paese e cancellato la speranza di futuro a un’intera generazione di siriani.
Negli ultimi dieci anni, gli organismi umanitari hanno fornito, ogni mese, assistenza alimentare a circa 5 milioni di persone dentro la Siria, usando ogni mezzo disponibile per raggiungere le persone in stato di bisogno. Diverse Agenzie umanitarie stanno, inoltre, fornendo assistenza ad oltre 1,5 milioni di rifugiati siriani nei paesi vicini di Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto che, complessivamente, ospitano oltre 5,6 milioni di siriani. Si tratta del gruppo più numeroso di rifugiati al mondo. Sono 5.5 milioni i rifugiati siriani in oltre 130 paesi del mondo – segnala un documento dell’UNHCR, l’Agenzia Onu per i profughi. Il 70% di loro vive in condizioni di totale povertà, senza accesso al cibo, all’acqua e ai servizi basilari per la sopravvivenza. I soggetti più vulnerabili sono bambini e i ragazzi, il 45% dei rifugiati ha meno di 18 anni, 1.6 milioni di bambini rifugiati hanno meno di 10 anni, fra questi 1 milione è nato in esilio; un’intera generazione segnata che, oltre a soffrire la fame e il freddo, si vede spesso negato anche il diritto all’istruzione.
All’interno dei confini siriani, poi, i bisogni umanitari restano enormi: 6,1 milioni gli sfollati interni, metà dei quali sono lontani dalle loro case da più di 5 anni; oltre 11 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria e protezione; 5,9 milioni di persone vivono in condizioni di emergenza abitativa. Drammatica anche la situazione sanitaria: soltanto il 58% degli ospedali e il 53% dei centri medici che svolgono servizi di base sono pienamente funzionanti. E comunque, quasi 9 siriani su 10 vivono sotto la soglia di povertà. UNHCR ribadisce l’urgenza di raccogliere fondi per i suoi interventi a sostegno dei rifugiati siriani: “Nel 2020, abbiamo sostenuto quasi 800.000 persone in più attraverso l’assistenza economica diretta, per far fronte ai bisogni essenziali, ma serve un’azione decisiva, perché nel 2020 solo il 53% di coloro in situazione precaria è stato raggiunto da aiuti”.
Edifici e infrastrutture civili, compresi gli ospedali, sono stati attaccati ancora nel 2020. Migliaia di persone sono state uccise o ferite e centinaia di migliaia costrette a lasciare le loro case, facendo conquistare alla Siria il triste primato di paese con la più grande popolazione di sfollati interni al mondo, oltre 6 milioni. Oggi la crisi economica e la pandemia stanno ulteriormente deteriorando la situazione.
Il 2020 era iniziato con la prosecuzione di una grande offensiva militare nel nord-ovest del Paese, che ha provocato lo sfollamento di circa un milione di persone. La pandemia di Covid-19 ha peggiorato ulteriormente la situazione sanitaria già precaria, colpendo per primo e massicciamente il personale sanitario; la conseguenza, oltre alle dirette sulla salute delle persone, è quella di un’ulteriore diminuzione dell’accesso ai servizi, già estremamente limitato.
Nel frattempo, la crisi economica prosegue e la svalutazione senza precedenti della moneta siriana (a Marzo 2021, il cambio informale dollaro-lira è di ca. 4.500, contro i 1.250 stabiliti dalla Banca Centrale Siriana) si traduce nell’incapacità di accedere a beni di prima necessità come alloggio, cibo, assistenza sanitaria e carburante. Particolarmente onerose per la popolazione sono le limitazioni sull’acquisto di combustibile, per automobili o riscaldamento delle case, che rendono impossibile il vivere quotidiano.’
I rifugiati in alcuni Paesi limitrofi vengono a loro volta colpiti dalla crisi economica nei Paesi ospitanti, soprattutto in Libano, dove il crollo del sistema bancario, la devastante crisi economica e la tensione fra gruppi settari, rinfocolata da condizioni disperate e leader senza scrupoli, rischia di esplodere drammaticamente nel paese.
Oggi, un decennio dopo, il conflitto in Siria è ben lungi da essere alla fine, e la popolazione continua a soffrire. Nel corso degli anni la guerra tra insorti e regime è diventata altro: con l’ingresso sulla scena di estremismi, terrorismi, fazioni religiose opposte (l’insanabile frattura tra sciiti e sunniti), potenze straniere con obiettivi che spesso non riguardano direttamente la Siria, ma la “attraversano”: conflitti nei conflitti, a volte sovrapposti, a volte paralleli.
Governatorati siriani come quelli di Deir e-Zor e Al-Hasaka, che confinano con l’Iraq e la Turchia, presentano sul territorio alcuni dei maggiori giacimenti petroliferi e di gas dell’intera Repubblica Araba. Le “Syrian Democratic Forces” (SDF), sostenute dagli Stati Uniti, controllano la maggior parte di questi territori. Tra i maggiori giacimenti petroliferi, è importante ricordare quello di Rmeilan, situato nella provincia di Al-Hasaka, nell’area di responsabilità delle SDF, territorio che presenta oltre 1322 pozzi petroliferi e 25 pozzi per la produzione di gas naturale. Il giacimento con maggiore produttività è quello di Al-Omar, situato nella provincia di Deir el-Zor, che è controllato dalle forze curde.
Questo giacimento rappresenta una risorsa molto importante poiché ha una potenzialità di 100 mila barili di greggio al giorno. Centrale è stato il ruolo di tale alleanza militare nella lotta contro lo Stato Islamico in Siria. Fino all’ottobre del 2015, a sostenere nell’Est della Siria la guerra contro i miliziani dell’Isis sono state soltanto le milizie curde SDF.
Il Segretario generale della Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha definito il conflitto un “incubo”, e ha ribadito la necessità di una soluzione politica.
Le parole di Guterres sono giunte il 10 marzo 2021, nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella sede dell’Onu a New York, durante la quale ha evidenziato che, dopo dieci anni di conflitto, e nel mezzo della pandemia di Coronavirus, le prime pagine dei quotidiani non parlano più di Siria, ma le condizioni del Paese continuano a peggiorare. La repressione violenta di manifestazioni pacifiche, ha affermato il Segretario, ha fatto scivolare la Siria verso una guerra “atroce”, che ha causato centinaia di migliaia di morti, mentre milioni di siriani sono stati costretti a sfollare. I siriani, ha affermato Guterres, sono vittime di violazioni dei diritti umani “diffuse e sistematiche”, tra cui bombardamenti perpetrati per mezzo di armi chimiche, mentre le parti belligeranti hanno ripetutamente violato le norme del Diritto umanitario rimanendo impunite.
A ciò si aggiungono fame, carestia e condizioni di assedio da parte di gruppi classificati come terroristi dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
In tale quadro, il Segretario generale ha esaminato una serie di fattori che hanno esacerbato la crisi siriana, tra cui il collasso dell’economia e uno stato di povertà aggravato da conflitti, corruzione, sanzioni e dalla pandemia di Covid-19. Circa il 60% della popolazione rischia la fame nel corso del 2021, alla luce di una crescente insicurezza alimentare a un mancato accesso alle risorse di base necessarie. A fronte di ciò, Guterres ha messo in luce la necessità di fornire maggiori aiuti umanitari, anche attraverso punti transfrontalieri, una questione su cui il Consiglio di Sicurezza è chiamato a trovare consenso.
In tale quadro, le Nazioni Unite si sono dette disposte a sostenere una soluzione politica alla crisi siriana, da raggiungere attraverso negoziati, in linea con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2254, in cui è stata delineata una road map verso una transizione politica guidata dai siriani stessi.
Come affermato da Guterres, progressi concreti all’interno del Comitato costituzionale, composto da delegati di tutte le parti coinvolte nella crisi, potrebbero rappresentare una prima mossa positiva. Tale Comitato rappresenta un’occasione in cui poter trovare punti di convergenza, al fine ultimo di rispondere alle aspettative della popolazione siriana, creare condizioni favorevoli al ritorno di sfollati e rifugiati e rispettare la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza della Siria. Per fare ciò, tutti i siriani dovrebbero essere coinvolti nel processo, sostenuti dalla comunità internazionale, la quale è chiamata a superare le divergenze interne attraverso un dialogo diplomatico. Se tutto ciò non si avvera, il rischio, ha affermato Guterres, è che la popolazione siriana continui ad essere vittima di ulteriore disperazione.
Il quindicesimo round dei cosiddetti “colloqui di Astana” ha avuto inizio, martedì 16 febbraio 2021, nella città russa meridionale di Sochi, con la partecipazione di delegati sia del governo di Damasco sia dei gruppi di opposizione, oltre a diversi attori internazionali.
Si tratta di colloqui riguardanti la crisi siriana, in cui Turchia, Russia e Iran svolgono il ruolo di garanti, mentre delegazioni di Libano, Iraq e Giordania partecipano in qualità di osservatori.
L’obiettivo principale è trovare una soluzione permanente al perdurante conflitto civile in Siria, toccando altresì tematiche quali l’elaborazione di una costituzione per il “dopoguerra”, la transizione politica, la sicurezza e il ritorno dei rifugiati. Il primo incontro si è tenuto nel mese di gennaio 2017 in Turchia, con il fine di rafforzare ulteriormente i colloqui di pace di Ginevra, promossi dalle Nazioni Unite.
Come riportato dal quotidiano al-Araby al-Jadeed, anche l’inviato speciale dell’Onu, Geir Otto Pedersen, è stato tra i partecipanti del nuovo ciclo di colloqui intrapreso il 16 febbraio, sebbene reduce dal fallimento degli ultimi meeting del Comitato costituzionale. I diversi Paesi stranieri sono rappresentati perlopiù da viceministri degli Esteri.
La Russia ha, invece, inviato il proprio inviato speciale per la Siria, Alexander Lavrentiev, il quale ha affermato che nel corso degli incontri verranno altresì prese in esame le conseguenze delle sanzioni imposte da Washington il 17 giugno 2020, con riferimento al cosiddetto Caesar Act.
Quest’ultimo, a detta del delegato di Mosca, ha contribuito a porre la Siria e il governo di Damasco in una condizione di ulteriore isolamento a livello sia politico sia economico. Motivo per cui, si prevede che le parti impegnate nei colloqui metteranno in luce i danni economici causati dalle sanzioni imposte dagli USA e da altri Paesi occidentali. A detta di Lavrentiev, un altro tema su cui discutere è il ritorno dei rifugiati siriani nelle proprie regioni di origine, mentre Mosca si è detta disposta a tenere colloqui con le fazioni dell’opposizione per incoraggiarle a favorire l’allontanamento di “gruppi estremisti”.
L’inviato speciale britannico in Siria, Jonathan Hargreaves, in un’intervista con al-Jazeera, ha dichiarato che il Regno Unito e i suoi alleati si stanno impegnando per favorire la fine del conflitto in Siria e per far sì che non duri un altro decennio. L’unica via perseguibile, a detta di Hargreaves, è quella verso una soluzione politica, guidata dai siriani sotto l’egida delle Nazioni Unite, e basata sulla risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Anche il presidente francese, Emmanuel Macron, e il capo di stato turco, Recep Tayyip Erdogan hanno espresso il loro sostegno a una soluzione politica in Siria.
2. Siria e Unione Europea
L’UE e i suoi Stati membri hanno sospeso le relazioni diplomatiche con la Siria nel 2012, e ha chiuso la sua delegazione a Damasco nel dicembre 2012, a seguito della chiusura delle ambasciate degli Stati membri avvenuta all’inizio del 2012. Ha puntato su chi voleva un cambio di governo e supportato forze militari che di democratico avevano poco e sono poi confluite, nella maggior parte, con i terroristi dell’ISIS.
Nel 2011 il Consiglio europeo ha adottato sanzioni nei confronti di persone ed entità siriane accusate di essere coinvolte nella repressione contro i civili e in seguito le ha rafforzate, affermando però che tali sanzioni prevedono deroghe umanitarie.
La Commissione ha espresso forte preoccupazione per i 12.000 cittadini stranieri, per la maggior parte sospettati di avere legami diretti o indiretti con l’ISIS/Daesh, sono detenuti in sette carceri gestite dalle FDS nel nord-est della Siria; che 9.000 di essi sono detenuti nel campo di Al-Hol, il più grande della Siria, che ospita in totale circa 64.000 persone, per la maggior parte famiglie con legami con l’ISIS/Daesh, di cui il 94 % sono donne e bambini, inclusi cittadini dell’UE.
L’UE ha denunciato i continui attacchi alle strutture sanitarie che hanno decimato il sistema sanitario siriano, lasciando i cittadini in difficoltà nel far fronte alle sfide causate dalla crisi della COVID-19; che meno del 64 % degli ospedali e il 52 % dei centri di assistenza sanitaria di base in Siria sono operativi; che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il 70 % del personale sanitario è fuggito dal paese.
Si ricorda che dal 2011, l’UE e i suoi Stati membri hanno mobilitato oltre 20 miliardi di euro per aiuti umanitari e assistenza alla stabilizzazione e alla resilienza a favore dei siriani all’interno della Siria e nei paesi vicini. L’UE è stata la forza motrice delle conferenze dei donatori a sostegno della Siria, svoltesi a Bruxelles per quattro anni consecutivi (2017-2020), e della quinta conferenza di Bruxelles che si è tenuta il 29 e 30 marzo 2021; questa conferenza di Bruxelles sul “Sostenere il futuro della Siria e della regione“, presieduta dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite, la comunità internazionale si è impegnata a 5,3 miliardi di euro per il 2021 e oltre per la Siria e i paesi limitrofi che ospitano il più grande siriano popolazione di rifugiati. Di questo importo, 3,7 miliardi di euro sono stati annunciati dall’UE, con 1,12 miliardi di euro provenienti dalla Commissione europea e 2,6 miliardi di euro dagli Stati membri dell’UE. L’UE nel suo insieme rimane il principale donatore con 24,9 miliardi di euro di assistenza umanitaria, stabilizzazione e resilienza mobilitati collettivamente dall’inizio della crisi nel 2011 per affrontarne le conseguenze.
L’UE ha manifestato in documenti ufficiali il proprio sostegno alle aspirazioni democratiche del popolo siriano che dieci anni fa, il 15 marzo 2011, ha manifestato pacificamente a Deraa, a Damasco e nel resto del paese chiedendo riforme democratiche; rende omaggio alle 500 000 vittime della repressione e del conflitto in Siria dall’inizio della rivolta popolare; è convinto che il futuro della Siria debba rimanere nelle mani del popolo siriano; manifesta il suo appoggio all’unità, alla sovranità e all’integrità territoriale dello Stato siriano e del suo popolo;
Esprime una profonda preoccupazione per lo stallo politico persistente e plaude agli sforzi compiuti dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, Geir O. Pedersen, per trovare una soluzione politica al conflitto; condivide le preoccupazioni dell’inviato speciale per la mancanza di progressi; ribadisce che una soluzione sostenibile al conflitto siriano non può essere raggiunta militarmente; esprime altresì preoccupazione per il collasso economico e per la disastrosa crisi umanitaria che colpiscono la Siria;
Ha ribadito il proprio sostegno alla risoluzione 2254 (2015) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che istituisce un processo di riforma costituzionale condotto dalla Siria; esprime profondo rammarico per la mancanza di impegno da parte del regime siriano, nonostante il reiterato impegno e la disponibilità espressi dai rappresentanti dell’opposizione siriana a negoziare con il regime siriano in vista dell’elaborazione di una nuova Costituzione siriana; evidenzia a tale riguardo la necessità di istituire un meccanismo di monitoraggio, verifica e segnalazione del cessate il fuoco sotto l’egida delle Nazioni Unite;
Si oppone a qualsiasi normalizzazione delle relazioni diplomatiche con il regime siriano fintantoché non siano raggiunti sul campo progressi fondamentali in Siria, con un impegno chiaro, costante e credibile per un processo politico inclusivo; ritiene che le prossime elezioni presidenziali siriane previste nel 2021 manchino di qualsiasi credibilità agli occhi della comunità internazionale nel contesto attuale; condanna fermamente le visite di deputati al Parlamento europeo al regime siriano e sottolinea che i deputati in questione non rappresentano il Parlamento europeo.
Deplora che alcuni attori abbiano ulteriormente diviso un’opposizione siriana frammentata, ostacolando il processo di Ginevra. Condanna con fermezza tutte le atrocità e le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, perpetrate in Siria da tutte le parti coinvolte nel conflitto.
Invita la Russia, l’Iran e Hezbollah a ritirare tutte le forze, comprese quelle delegate, sotto il loro comando, ad eccezione di quelle che partecipano a una forza internazionale di mantenimento della pace o di stabilizzazione sotto il mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; deplora il ruolo della Russia e dell’Iran nel sostenere la totale repressione nei confronti della popolazione civile e nell’aver assunto il controllo del processo politico e delle risorse economiche in Siria.
Invita la Turchia a ritirare le sue truppe dal nord della Siria, un territorio che occupa illegalmente e senza un mandato delle Nazioni Unite; condanna i trasferimenti illegali di curdi siriani dal territorio occupato nel nord della Siria verso la Turchia a fini di detenzione e perseguimento giudiziario, in violazione degli obblighi internazionali spettanti alla Turchia nel quadro delle Convenzioni di Ginevra; esorta a rimpatriare immediatamente nei territori occupati in Siria tutti i detenuti siriani trasferiti in Turchia; è preoccupato per il fatto che gli sfollamenti in atto in Turchia potrebbero equivalere a una pulizia etnica contro la popolazione curda siriana; sottolinea che l’invasione e l’occupazione illegali della Turchia hanno compromesso la pace in Siria, in Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale; sottolinea che l’intervento della Turchia ha indebolito gli sforzi internazionali contro l’ISIS/Daesh; condanna fermamente il ricorso da parte della Turchia a mercenari siriani nei conflitti in Libia e nel Nagorno-Karabakh, in violazione del diritto internazionale.
Crede fermamente nella diversità religiosa ed etnica della Siria; deplora la discriminazione di cui il regime siriano è da molto tempo responsabile nei confronti dei curdi siriani; condanna gli attacchi mirati contro dissidenti come ad esempio Ali Ferzat, vincitore del premio Sacharov del Parlamento europeo per la sua critica nei confronti del presidente Assad, come pure gli attacchi del contro 124 chiese cristiane, documentati dalla rete siriana per i diritti umani (SNHR); condanna fermamente l’uccisione di membri di minoranze religiose perpetrata dall’ISIS/Daesh e, in particolare, i crimini di genocidio contro yazidi, musulmani sciiti e cristiani avvenuti nel periodo 2014-2018; deplora profondamente la persecuzione delle minoranze da parte di gruppi armati dell’opposizione.
Sottolinea che l’ISIS/Daesh è ancora attivo nella regione e non è stato sconfitto; esprime preoccupazione per le difficoltà incontrate nel preservare le prove dei crimini perpetrati e nell’ottenere l’accesso ad esse, nonché nello scoprire il destino delle persone rapite; invita a sostenere gli sforzi sul campo per documentare e preservare le prove di tali crimini; accoglie con favore il perseguimento dei cittadini dell’UE e di paesi terzi che hanno aderito all’ISIS/Daesh.
L’UE esprime preoccupazione per le crescenti tensioni nel Kurdistan iracheno, che negli ultimi anni ha goduto di una maggiore stabilità rispetto alla Siria e ha offerto una zona sicura ai rifugiati siriani. Ribadisce che i responsabili di gravi reati internazionali devono essere debitamente perseguiti, anche da parte degli Stati membri dell’UE in assenza di altri processi internazionali o nazionali di giustizia di transizione; sottolinea l’importanza fondamentale di risolvere la questione delle persone detenute e fatte sparire da tutte le parti coinvolte nel conflitto, come tassello fondamentale di ogni processo di transizione inteso a conseguire la pace.
Esprime profonda preoccupazione per le continue sofferenze del popolo siriano a dieci dall’inizio del conflitto; è particolarmente inquieto per il fatto che le necessità umanitarie in Siria sono aumentate di un quinto solamente nell’ultimo anno e che altri 4,5 milioni di siriani vivono attualmente in condizioni di insicurezza alimentare, mentre il 90 % vive al di sotto della soglia di povertà; ritiene che l’accesso umanitario debba continuare ad essere una priorità fondamentale per l’UE in Siria e che la crescita delle necessità richieda una maggiore risposta finanziaria e politica da parte dell’UE.
Invita la comunità internazionale a far fronte urgentemente all’entità senza precedenti delle necessità umanitarie del popolo siriano all’interno e all’esterno del paese; incoraggia l’UE, in qualità di organizzatrice della quinta Conferenza dei donatori sulla Siria di Bruxelles, a mobilitare altri donatori internazionali per potenziare il sostegno al Piano di risposta per l’assistenza umanitaria in Siria a favore del settore sanitario, mediante maggiori finanziamenti flessibili e pluriennali che coprano a lungo termine i bisogni della popolazione; invita i donatori internazionali a investire in modo specifico in programmi destinati a riparare, ripristinare e potenziare le strutture sanitarie danneggiate o distrutte, oltre alle altre strutture civili che sono state colpite;
Esorta il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a includere inviti espliciti a tutelare gli operatori sanitari nelle prossime risoluzioni e nelle discussioni ufficiali delle Nazioni Unite; invita gli Stati membri, a tale riguardo, a offrire un appoggio politico e un sostegno operativo alle iniziative e alle indagini guidate dalle Nazioni Unite per l’accertamento delle responsabilità onde garantire il rispetto del diritto internazionale;
Rileva che il fondo fiduciario Madad dell’UE in risposta alla crisi siriana giungerà a scadenza entro la fine del 2021; invita la Commissione a garantire risorse finanziarie per la risposta umanitaria dell’UE alla crisi siriana nell’ambito dello strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale e a garantire il funzionamento senza ostacoli dei suoi progetti.
3. Armadilla in Siria
Armadilla opera in Siria da oltre 17 anni per contribuire a promuovere il miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione che risiede nella periferia Sud di Damasco, zona che è caratterizzata da condizioni di povertà e scarso accesso ai servizi di base. Armadilla svolge la sua azione in stretta collaborazione con l’Associazione locale Zahret Al Madaen (ZAM), che dal 2004 gestisce un Centro di sviluppo che offre assistenza e servizi socio-sanitari alle categorie più vulnerabili della popolazione, in particolare donne e bambini disabili.
Attraverso la realizzazione di progetti co-finanziati dalla Unione Europea e da Fondazioni private, Armadilla ha favorito il rafforzamento delle capacità di intervento del partner locale, rendendo il Centro ZAM un riferimento territoriale importante nel campo della riabilitazione fisica e cognitiva dei bambini con disabilità, e nel campo sia della formazione professionale per donne, finalizzata alla promozione di attività di sostegno al reddito, sia di interventi psicosociali destinati ad aumentare il benessere emotivo delle donne. Tali interventi di sviluppo sono stati realizzati nel quadro di accordi siglati con le Autorità competenti, in particolare il Ministero degli Affari Sociali e il Ministero della Sanità. A partire dal 2012, l’aggravarsi della crisi ha iniziato a far sentire i suoi effetti anche nell’area di Damasco. Le famiglie, già vulnerabili, del Centro ZAM ne sono state colpite drammaticamente e l’aumento esponenziale dei bisogni che richiedevano una risposta immediata ha portato Armadilla a incrementare gli sforzi per far fronte alle necessità emergenti, pur continuando a sostenere i processi di sviluppo avviati con il partner locale. Un programma di assistenza umanitaria è stato avviato – ed è attivo – grazie a finanziamenti di UNOCHA, fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese e Cooperazione Italiana (iniziative di emergenza umanitarie). Esso si è concentrato principalmente su attività di distribuzione generi di prima necessità: cibo, kit igienici, coperte etc. Parte integrante del programma di assistenza umanitaria sono gli interventi di protezione e supporto psicosociale per donne e minori. I servizi di riabilitazione in favore dei bambini disabili e per la promozione del ruolo della donna, non sono stati interrotti, nonostante la riduzione dei fondi per le attività di sviluppo, grazie all’impegno di Armadilla e ZAM. L’azione umanitaria di Armadilla nell’attuale contesto di crisi, è riconosciuta dal Ministero degli Affari Sociali, dal Ministero della Sanità e dalla Syrian Arab Red Crescent (SARC). Fino al novembre 2012, l’attività si è svolta presso il Centro di Hajar Al Aswad. Quando nel novembre 2012 il conflitto armato ha raggiunto la periferia Sud di Damasco, la quasi totalità delle famiglie (quelle da tempo ivi residenti e quelle sopraggiunte durante la crisi) è stata costretta a fuggire in cerca di una sistemazione più sicura. Dal 2016, Armadilla e Zareth Al Madan, grazie a un contributo di Unicef, hanno iniziato a realizzare un programma di Protezione e di coordinamento dei servizi territoriali, per sviluppare in maniera organica e strutturale interventi mirati alla salvaguardia della comunità beneficiaria. Tale progetto pilota, inquadrato nella cosiddetta Iniziativa NLG – No-Lost Generation, si propone di elaborare, in concerto con i Ministeri degli Affari Sociali, della Sanità e dell’Educazione, buone prassi che operatori che lavorano con i minori (assistenti sociali, operatori sanitari, volontari, insegnanti etc.) potranno utilizzare nelle loro attività. Verranno elaborati modelli specifici di “procedure” (Piani di Attenzione Individuali) da adottare a seconda di utenti specifici (ad es. bambini con disabilità motorie, affetti da autismo, da disabilità cognitive, a rischio di emarginazione sociale etc.). Il progetto è realizzato da Armadilla e Zareth Al Madan, con l’appoggio di un Comitato Scientifico Italiano, composto da eccellenze del settore socio-educativo e socio-sanitario (Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, Cooperativa Open Group, Fondazione ASPHI, Annulliamo la Distanza onlus).
Nel 2018 Armadilla ha promosso un accordo tra le Università di Modena e Reggio Emilia e di Latakia sul tema della Terapia Occupazionale. In esso si prevede la definizione di insegnamenti, spazi e tecnologie necessari alla realizzazione del corso di laurea e erogare ore di insegnamento a giovani professionisti del settore, al fine di offrire con esempi concreti l’importanza dell’approccio della Terapia Occupazionale nella riabilitazione di persone con disabilità. L’azione progettuale, coordinata dalla cooperativa Armadilla e finanziata da UNDP Siria, prevede un impegno pluriennale nel Paese, attraverso la visita di docenti italiani all’Università Manara per l’insegnamento di insegnamenti specifici, consulenza per l’ideazione di laboratori per gli insegnamenti pratici e, nel futuro, lo scambio di studenti tra le due università.
Il corso, di durata triennale, impartito a studenti e professori siriani da docenti Unimore, non solo creerà un’opportunità formativa innovativa per giovani diplomati, ma contribuirà anche ad alleviare tante sofferenze, conseguenza del conflitto che ha segnato pesantemente la Siria, e alla creazione di un rapporto duraturo e concreto fra il mondo accademico siriano e italiano. La terapia occupazionale (TO), definita anche ergoterapia, e in inglese occupational therapy, è una disciplina riabilitativa che utilizza la valutazione e il trattamento per sviluppare, recuperare o mantenere le competenze della vita quotidiana e lavorativa delle persone con disabilità cognitive, fisiche, psichiche tramite attività. Si occupa anche dell’individuazione e dell’eliminazione di barriere ambientali per incrementare l’autonomia e l’indipendenza e la partecipazione alle attività quotidiane, lavorative, sociali.
Armadilla ha ribadito più volte, fin dal 2011, l’impossibilità di soluzione del conflitto aumentando le presenze militari e gli investimenti bellici. Solo una mediazione diplomatica e di graduale cambiamento era la possibilità reale per ottenere una pacificazione e una possibile transizione democratica della Siria. Ha recentemente richiesto alcuni punti, coerenti con quanto le Nazioni Unite hanno proposto negli ultimi anni:
- Il rispetto della sovranità siriana. La risoluzione 2254 è esplicitamente prefigurata dal forte impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della Siria e chiarisce che quanto si propone nella risoluzione deve essere guidato dalla Siria a cui appartiene l’ownership.
- La Risoluzione 2254 “esprime il proprio sostegno a un processo politico guidato dai Siriani che sia facilitato dalle Nazioni Unite e che istituisca un governo attendibile, inclusivo, non settario e che stabilisca un programma e un procedimento per redigere una nuova costituzione, e inoltre esprime il proprio sostegno ad elezioni libere e giuste, conformi alla nuova costituzione, che dovranno tenersi sotto la supervisione delle Nazioni Unite, in modo che siano soddisfacenti per il governo e che siano caratterizzate dai più alti criteri internazionali di trasparenza e affidabilità, con la partecipazione di tutti i Siriani, inclusi i membri della diaspora… “
- Riconoscere lo stretto collegamento tra una tregua e un processo politico parallelo, e esprime il proprio sostegno affinché una tregua a livello nazionale in Siria entri in vigore appena i rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione avranno mosso i primi passi verso una transizione politica sotto gli auspici dell’ONU.
- Riconoscere la necessità che tutte le parti adottino misure volte ad instaurare fiducia reciproca per realizzare un procedimento politico e una tregua duratura e invita tutti gli stati a fare quanto in loro potere nei confronti del governo e dell’opposizione siriana per promuovere il processo di pace, le misure per rafforzare la fiducia e i progressi verso la tregua;
- Invitare le parti a permettere immediatamente l’accesso libero, rapido e sicuro in tutta la Siria alle agenzie umanitarie attraverso le strade più dirette, con effetto immediato, a portare sostegno umanitario a chiunque ne abbia bisogno, in particolare in tutte le aree assediate e difficili da raggiungere, e a liberare tutte le persone illegalmente detenute, soprattutto donne e bambini, invita gli stati a fare quanto il loro potere per raggiungere questi obiettivi…
- Avviare una discussione costituzionale in un contesto di uno dei conflitti armati più tragici, brutali, crudeli e spietati di questo secolo. Il popolo siriano deve quindi essere abilitato in modo indipendente e democratico a determinare il proprio futuro, che è chiamato sovranità popolare. Per questa ragione, questo Consiglio – nella stessa risoluzione – ha dato all’ONU il mandato di convocare il processo politico e il programma per la stesura di una nuova costituzione…”