Da oltre sette anni siamo testimoni del genocidio in atto da una folle guerra mondiale per procura il cui prezzo maggiore lo pagano le popolazioni inermi e indifese delle comunità siriane.
I dati statistici sono fredde cifre che non danno conto del dramma umanitario che vivono le famiglie: dire 500.000 morti, 6 milioni di rifugiati all’estero, 12 milioni di sfollati interni non descrive le follie che la guerra ha generato.
Una situazione molto complessa in cui è difficile capire cause, motivazioni del conflitto, possibili soluzioni.
In una condizione prolungata di guerra la prima vittima è la verità. E la propaganda costruisce notizie per demolire gli avversari e difendere, con ogni mezzo, la propria parte.
E anche oggi i mezzi di comunicazione e il mondo politico invita l’opinione pubblica a parteggiare. Con i buoni contro i cattivi. Ma quale delle parti, nella guerra in Siria (o in qualsiasi altro contesto di conflitto armato) può dire di rispettare i diritti umani della popolazione civile?
Predomina l’ipocrisia e la difesa a prescindere di quella che si ritiene la propria parte politica. Ci si invita a tifare non a capire e proporre possibili soluzioni.
A cadenza periodica entità schierate con fazioni in conflitto accusano la parte avversa di utilizzare armi chimiche, di bombardare ospedali, di bruciare vivi i bambini innocenti. E molte volte si è denunciata anche la falsità di molte di queste notizie costruite dalla propaganda per motivare richieste di intervento internazionale.
Come operatori di una entità che collabora con le Nazioni Unite diciamo che la richiesta alle parti belligeranti di permettere corridoi umanitari protetti per garantire cibo, acqua, cure mediche e salvare vite umane in pericolo è la priorità assoluta.
Ma anche denunciare che la scelta di risolvere con la guerra conflitti politici e diplomatici non solo è disumana ma anche inefficace.
L’obiettivo di far cadere regimi considerati nemici attraverso i bombardamenti e l’occupazione militare ha portato il caos in Libia, in Iraq in Yemen. In Siria sette anni di guerra hanno portato solo distruzione ma nessun cambio o miglioramento della situazione del paese.
Ma non possiamo tacere anche sul fariseismo delle potenze in guerra che motivano i loro interventi per la difesa dei diritti delle popolazioni locali, per la democrazia e la lotta al terrorismo. Tacendo gli interessi geopolitici ed economici (per esempio lo sfruttamento e controllo del giacimento di gas naturale tra Iran e Qatar) che sono le vere motivazioni che hanno portato alle guerre locali. Guerre mondiali per procura è stato detto.
Una situazione complessa la cui comprensione sfugge a chi sente notizie ai telegiornali o legge qualche titolo nella stampa. Alleanze che in base alle necessità tattiche nascono e si distruggono nel giro di qualche mese. Nella congiuntura attuale è di questi giorni l’accusa al governo siriano di aver di nuovo utilizzato armi chimiche nella città di Duma, nella Ghouta orientale, vicino a Damasco.
Ciò ha portato a una minaccia di intervento militare diretto da parte degli Stati Uniti, Francia e Regno Unito non accettando il veto che nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha posto la Russia, alleata del governo di Bashar Al Assad.
Il governo siriano ha negato l’uso di armi chimiche e ha invitato l’Organizzazione per la Proibizione delle armi chimiche (OPAC) a visitare Duma, per accertare in loco cosa è veramente successo e verificare se esistono prove di utilizzo di gas tossici.
Ricordiamo che tali accuse non sono nuove. Il 21 agosto 2013 sempre a Ghouta secondo il più importante giornalista d’inchiesta al mondo, Seymour Hersh, da fonti dirette sia in Siria sia tra le alte sfere dell’intelligence Usa, ha scritto che non fu opera del regime di Assad ma dei ribelli jihadisti con il sostegno di Erdogan. Per una operazione mirata a far entrare in guerra subito gli Stati uniti che con Obama avevano intimato che l’uso di armi chimiche avrebbe oltrepassato «la linea rossa».
Analisti internazionali affermano che chi oggi ha maggior influenza in Siria sono la Russia, l’Iran e la Turchia che nel vertice di Astana (cui ha partecipato come osservatore anche De Mistura, in rappresentanza delle Nazioni Unite) hanno proposto una cessazione delle ostilità in aree strategiche per la costruzione della convivenza pacifica.
Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna (e i loro alleati) non hanno raggiunto l’obiettivo della caduta del regime siriano e i loro alleati locali sono stati militarmente sconfitti ( o molti sono passati nelle file dell’ISIS e di Al Nuhrsa diventando nemici). Resta aperta la questione del popolo curdo che ha pagato un prezzo di sangue enorme nella lotta contro l’ISIS e oggi si vede negare ogni richiesta legittima di riconoscimento di autonomia e di autodeterminazione da tutte le altre parti coinvolte (soprattutto da Turchia e Iran)
Ora il presidente Trump si prepara di nuovo a bombardare le città siriane con possibili effetti molto preoccupanti (vista la reazione della Russia) di una terza guerra mondiale non più «a pezzetti» e non più per procura.
In tanti sono convinti che la somma di vari bilateralismi non può portare a una soluzione definitiva per il Medio Oriente. Solo accettando la mediazione multilaterale dell’ONU e legittimando da parte di tutti il suo ruolo si può rilanciare un processo di pacificazione in Siria e l’applicazione della risoluzione 2254:
Primo obiettivo che le parti in conflitto si riconoscano come possibili interlocutori legittimati a sedersi allo stesso tavolo di mediazione.
Immediatamente creare le condizioni per poter garantire aiuti umanitari di emergenza alle popolazioni civili in tutto il territorio.
Favorire, in condizioni di sicurezza e di controllo delle parti in conflitto, il ritorno della popolazione alle proprie comunità di origine.
Successivamente si riprenderanno i punti del come promuovere un processo di transizione politico-istituzionale specchiandosi con quanto succede in Iraq e garantendo ampia autonomia ai governi locali, magari in una logica di stato federale.