Partenariati territoriali e sviluppo umano sostenibile

A cura di Vincenzo Pira e Marco Pasquini
marzo 2021

In questo Quaderno proponiamo una sintesi del Rapporto 2020 dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile sulla situazione dei territori italiani in relazione ai 17 obiettivi proposti nell’Agenda 2030 (SDGs). Tale rapporto si può leggere integralmente sul sito di Asvis.

Si analizza il coinvolgimento dei diversi territori (regioni, province, città e aree interne) nella trasformazione necessaria per portare il Paese su un sentiero di sviluppo sostenibile. L’analisi aggiornata dei dati nazionali sull’impatto della crisi da Covid-19 sui diversi SDGs mostra risultati impressionanti: sui 12 obiettivi per i quali si hanno elementi di valutazione sufficienti, c’è un miglioramento in soli tre casi e un peggioramento negli altri nove. D’altra parte, l’analisi sui 22 Target quantitativi al 2030 giunge alla conclusione che l’Italia non è su un percorso di sviluppo sostenibile: ha un andamento promettente in tre casi, positivo in quattro, negativo in dieci e decisamente negativo in quattro. Importante sottolineare l’uso crescente dell’Agenda 2030 come chiave di programmazione delle politiche territoriali da parte delle Regioni e delle Città, per disegnare Strategie regionali e Agende metropolitane per lo sviluppo sostenibile, in molti casi opportunamente collegate ai loro Piani strategici.

1. Sintesi del Rapporto

Una delle partite fondamentali per l’attuazione dell’Agenda 2030 si gioca a livello locale. Senza un coinvolgimento dei diversi territori (regioni, province, città e aree interne) la trasformazione necessaria per portare il Paese su un sentiero di sviluppo sostenibile rischia di restare astratta e poco coinvolgente, incapace di incidere sui comportamenti concreti della società e del mondo economico. Non a caso, a livello internazionale si dà molta importanza alla “territorializzazione” degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Obiettivos – SDGs nell’acronimo inglese): basti pensare alla promozione di Voluntary local review (VLR) da parte dell’ONU analoghe a quelle realizzate a livello nazionale e al Manuale della Commissione europea per coinvolgere le forze economiche e sociali a livello locale nell’attuazione dell’Agenda 2030.

Da questo Rapporto, il primo così dettagliato e articolato mai prodotto nel nostro Paese, emerge, da un lato, la varietà di situazioni dei territori italiani rispetto al 17 SDGs, ben al di là della classica divisione tra Nord, Centro e Sud del Paese, dall’altro l’uso crescente dell’Agenda 2030 come chiave di programmazione delle politiche territoriali da parte delle Regioni e delle Città, anche grazie ai bandi del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare per disegnare Strategie regionali e Agende metropolitane per lo sviluppo sostenibile, in molti casi opportunamente collegate ai loro Piani strategici.

L’analisi aggiornata dei dati nazionali dell’Italia sull’impatto della crisi da COVID-19 sui diversi SDGs mostra risultati impressionanti: sui 12 Obiettivi per i quali si hanno elementi di valutazione sufficienti, c’è un miglioramento in soli tre casi e un peggioramento negli altri nove.

D’altra parte, l’analisi sui 22 Target quantitativi al 2030 giunge alla conclusione che l’Italia non è su un percorso di sviluppo sostenibile: ha un andamento promettente in tre casi, positivo in quattro, negativo in dieci e decisamente negativo in quattro. Il Rapporto offre un quadro dettagliato del posizionamento e delle tendenze osservate, rispetto all’Agenda 2030, per le regioni, le province e le città.

In particolare, le 19 Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sono messe a confronto con l’andamento nazionale degli indicatori sintetici per i diversi Obiettivi e sono valutate in base alla distanza da 22 Target quantitativi al 2030. Per 90 province ed enti intermedi e 14 città metropolitane si sono realizzate mappe per i diversi Obiettivi per i quali sono disponibili indicatori adeguati, le quali mostrano la distanza di ciascuna di esse dal rispettivo valore medio nazionale. Anche le città metropolitane vengono analizzate in base alla distanza dagli 11 Target quantitativi per i quali sono disponibili informazioni aggiornate, mentre per le città si è proceduto a un confronto con i valori medi europei relativi agli stessi agglomerati urbani su 8 Target quantitativi.

La parte conclusiva del Rapporto è dedicata alle buone pratiche di attuazione dell’Agenda 2030 sui territori, ivi comprese quelle della Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile (RUS), che coopera con diverse autorità amministrative territoriali. In estrema sintesi, il quadro che emerge appare caratterizzato dai seguenti elementi:

  • nelle Regioni e nelle Province autonome, sulla base dei trend storici, oltre il 90% dei territori ha raggiunto o raggiungerà il 25% di superficie agricola utilizzata da coltivazioni biologiche e circa il 70% ridurrà presumibilmente del 25%, rispetto al 2013, il tasso di mortalità per le principali cause tra i 30 e i 69 anni; oltre il 60% delle regioni e delle province autonome dovrebbe riuscire a ridurre al 10% la quota di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione (18-24 anni) e circa il 50% riuscirà a raggiungere la quota del 32% di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia. Di contro, oltre due terzi delle regioni e delle province autonome si sta allontanando o non si avvicinerà ai Target relativi a: riduzione del 20% della quota di fertilizzanti distribuiti in agricoltura rispetto al 2018 e del 50% del tasso di feriti per incidente stradale rispetto al 2010 (circa il 40% delle aree si allontana dal Target); raggiungimento della parità di genere nel rapporto di femminilizzazione del tasso di occupazione (20-64 anni) e di una quota dell’80% nell’efficienza delle reti di distribuzione dell’acqua potabile; riduzione a 4,2 dell’indice di disuguaglianza del reddito disponibile; aumento del 26% della quota di posti-km offerti dal trasporto pubblico locale rispetto al 2004; riduzione del 27% della quota di rifiuti urbani prodotti pro-capite rispetto al 2003; raggiungimento di una quota del 10% di aree protette marine; azzeramento entro il 2050 dell’incremento annuo di suolo consumato.
  • Per ciò che concerne le Città metropolitane, dove sono presenti circa 22 milioni di persone (oltre il 36% della popolazione residente), emerge una situazione positiva solo per i Target relativi alla quota di laureati e di persone in possesso di altri titoli terziari (25-39 anni), per il quale il 50% delle Città ha già raggiunto il Target o mostra andamenti adeguati a raggiungerlo, e al tasso di occupazione, da cui il nostro Paese è ancora distante, ma che è stato raggiunto o sarà raggiunto (se si conferma l’andamento storico) dal 36% di esse. Di contro, una situazione negativa si riscontra per molti Target, tra i quali l’efficienza delle reti di distribuzione dell’acqua potabile, le quote di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e di rifiuti urbani prodotti pro-capite, e il consumo di suolo.

Il Rapporto analizza anche le impostazioni adottate dalle tre principali politiche in atto che si propongono di ridurre i divari territoriali: il Piano per il Sud 2030, articolato in cinque Missioni, che ha avuto diversi interventi di attuazione nei provvedimenti assunti durante la crisi da COVID-19; la Strategia nazionale per le aree interne (SNAI), concentrata su 72 aree pilota, per un investimento complessivo pari a due miliardi di euro; il Programma straordinario per le periferie del 2015 (2,1 miliardi di euro), che vede il 63% dei 1.700 interventi in fase di realizzazione, ma con un costo realizzato pari a solo il 30% del finanziamento concesso.

Alla luce delle evidenze del Rapporto, il “Pacchetto di investimenti per lo sviluppo sostenibile delle città e dei territori”, elaborato dall’ASviS nei mesi scorsi, e le principali proposte di politiche economiche, sociali e ambientali illustrate del Rapporto 2020 di ottobre si confermano indispensabili per accelerare il cammino dell’Italia e dei suoi territori verso l’attuazione dell’Agenda 2030, soprattutto alla luce degli effetti della crisi in corso.

Tali proposte sono illustrate in questo volume secondo le sei missioni delle Linee guida del Governo per la predisposizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), parte del programma Next Generation EU, che prevede circa 209 miliardi di euro da impiegare entro il 2026.

Inoltre, in vista dell’elaborazione del Programma nazionale di riforme (PNR) 2021, l’ASviS propone di:

  • elaborare un unico Documento, come suggerito dalla Commissione europea, con le caratteristiche di un “Programma quadro per lo sviluppo sostenibile 2021-2026” che metta a sistema le molteplici Strategie settoriali e assuma la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS), in corso di aggiornamento, come scenario al 2030;
  • costruire i sistemi di monitoraggio necessari sulla base degli Obiettivi dell’Agenda 2030 e dei relativi Target nazionali, i quali vanno assegnati in modo differenziato alle regioni e ai diversi territori per produrre un percorso di convergenza verso gli SDGs al 2030;
  • assicurare il forte coinvolgimento delle Regioni, delle Province, delle Città metropolitane, dei Comuni e delle loro Unioni nel disegno e nell’attuazione del Programma;
  • predisporre una Agenda urbana nazionale per lo sviluppo sostenibile, come articolazione della Strategia nazionale, con un forte ruolo di coordinamento da parte del Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU), opportunamente riformato;
  • dare continuità anche per il prossimo settennato 2021-2027 alla Strategia nazionale per le aree interne (SNAI);
  • definire le nuove procedure che il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) – la cui partenza è prevista per il primo gennaio 2021 – adotterà per valutare i progetti d’investimento, introducendo uno strumento che consenta il controllo di sostenibilità dei singoli progetti rispetto agli SDGs e ai relativi Target.

2. Strategie delle regioni e gli strumenti di programmazione dei Comuni in Italia

Il maggiore impulso alla territorializzazione degli SDGs nel nostro Paese, che vede numerose esperienze interessanti anche in città e comunità locali di medie e piccole dimensioni, è venuto con i bandi del Ministero dell’Ambiente. Ne sono stati pubblicati due rivolti alle Regioni (3 agosto 2018 per 4 milioni di euro e 30 luglio 2019 per 4,2 milioni di euro) per elaborare le proprie Strategie regionali per lo sviluppo sostenibile (SRSvS) e uno rivolto alle Città metropolitane (30 luglio 2019 per 2,5 milioni di euro) per le loro Agende per lo sviluppo sostenibile. Sia le Strategie regionali che le Agende metropolitane si devono collocare nell’ambito della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS) approvata con delibera CIPE del 22 dicembre 2017, di durata triennale ed ora in corso di aggiornamento.

L’8 giugno 2017 i Sindaci delle Città metropolitane avevano firmato la Carta di Bologna per l’Ambiente che prevedeva anch’essa l’elaborazione delle Agende e in seguito alla quale solo la Città metropolitana di Bologna aveva provveduto in tal senso.

I Piani strategici sono un altro strumento importante delle Città metropolitane che pongono particolare enfasi sugli SDGs. Per la Legge n. 56 del 2014 i Piani strategici metropolitani costituiscono “(…) un atto di indirizzo per l’ente e per l’esercizio delle funzioni dei Comuni e delle Unioni di Comuni”.

Infine, tutti i Comuni, anche quelli di piccole e piccolissime dimensioni, hanno per legge un Documento unico di programmazione (DUP) che contiene gli indirizzi e le modalità operative dell’ente a partire da quelli di carattere finanziario. IFEL Fondazione ANCI e Università Politecnica delle Marche hanno effettuato una interessante sperimentazione che può essere facilmente estesa.

3. Indicatori sintetici per obiettivo in Italia

Considerata la rilevanza di quanto sta accadendo per l’emergenza da COVID-19, riteniamo utile riproporre in forma aggregata l’aggiornamento delle valutazioni dell’impatto della crisi sugli SDGs nel 2020 già illustrate nel capitolo 3 del Rapporto ASviS 2020.

Nel 2020 l’Italia mostra segni di miglioramento per tre obiettivi:

  • Obiettivo 12 – Consumo e produzione responsabili, in quanto la grave diminuzione del PIL (-9,6%) ha comportato un decremento della produzione di rifiuti urbani che dovrebbe determinare un miglioramento del relativo indicatore.
  • Obiettivo 13 – Lotta contro il cambiamento climatico. Il miglioramento dell’indicatore nella media dell’anno si dovrebbe registrare per l’interruzione di parte delle attività produttive durante il lockdown e per la recessione economica, che sta portando ad una forte riduzione delle emissioni di CO2 (-7,5% secondo le stime dell’ISPRA).
  • Obiettivo 16 – Pace, giustizia e istituzioni solide, per la riduzione dei reati nei periodi in cui sono state implementate le restrizioni più dure. Secondo i dati del Ministero dell’Interno relativi al periodo 1° marzo – 10 maggio 2020, si assiste a una riduzione del 61% del totale dei reati commessi rispetto allo stesso periodo del 2019.

Nel 2020 vi è stato un peggioramento per nove obiettivi:

  • Obiettivo 1 – Sconfiggere la povertà, per il crollo del PIL e la riduzione del reddito disponibile delle famiglie, stimata in oltre il 3% in termini reali.
  • Obiettivo 2 – Sconfiggere la fame, per gli effetti negativi della crisi sul settore agricolo e il peggioramento della qualità dell’alimentazione. Secondo l’Istat, nei primi due trimestri del 2020 l’agricoltura ha registrato diminuzioni del valore aggiunto rispetto al trimestre precedente rispettivamente pari all’1,9% e al 3,7% in termini reali. La riduzione delle unità di lavoro è stata dell’1,8% e del 3%, mentre la contrazione dei redditi da lavoro dipendente è stata pari allo 0,2% e allo 0,7%.
  • Obiettivo 3 – Salute e benessere. A causa della pandemia, da gennaio a settembre 2020 si è osservato a livello nazionale un aumento dei decessi per il complesso delle cause rispetto alla media del periodo 2015-2019, che corrisponde ad una variazione di +9%. L’eccesso di mortalità riscontrato in questi nove mesi ha riguardato principalmente il Nord Italia (+18,6%), con picchi di +35,6% in Lombardia, mentre il Centro (+1,1%) e il Mezzogiorno (+0,3%) hanno subito aumenti più contenuti.
  • Obiettivo 4 – Istruzione di qualità per tutti. L’Istat stima che durante i mesi del lockdown circa tre milioni di studenti di età compresa tra i 6 e i 17 anni hanno avuto difficoltà a seguire le lezioni nella modalità della didattica a distanza (DAD), soprattutto per carenza o inadeguatezza dei dispositivi informatici in famiglia. Tale situazione è particolarmente accentuata nel Sud, dove interessa circa il 20% dei minori. È un fenomeno particolarmente grave, che si è ripetuto parzialmente anche nel corso dei mesi recenti e che aumenta la probabilità di abbandono scolastico, soprattutto nelle fasce più vulnerabili della popolazione, a cui si unisce il presumibile calo dei lavoratori che partecipano ad attività di istruzione e formazione.
  • Obiettivo 5 – Parità di genere. Il tasso di occupazione femminile nel secondo trimestre del 2020 è diminuito di 2,2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2019, contro la riduzione di 1,6 punti percentuali di quello maschile, evidenziando come la crisi stia svantaggiando maggiormente le donne, il che peggiora le disuguaglianze di genere.
  • Obiettivo 8 – Lavoro dignitoso e crescita economica. A causa della crisi sanitaria, nel secondo trimestre del 2020 si assiste a una drammatica diminuzione, rispetto allo stesso trimestre del 2019, del PIL (-17,7%), del reddito disponibile, delle ore lavorate (-20%) e dell’occupazione (- 1,9 punti percentuali). Si registra, invece, un aumento dell’1,5% rispetto al trimestre precedente per i redditi da lavoro dipendente pro capite (+2% rispetto al secondo trimestre del 2019).
  • Obiettivo 9 – Imprese, innovazione e infrastrutture, a causa del peggioramento dell’intensità di emissioni di CO2 rispetto al valore aggiunto causato dalla chiusura, nei mesi del lockdown, delle attività con minore intensità emissiva.
  • Obiettivo 10 – Ridurre le disuguaglianze. La crisi sta ampliando drammaticamente le diseguaglianze sociali. Durante il lockdown, i lavoratori nei settori bloccati mostrano livelli medi dei salari decisamente inferiori rispetto agli occupati nei settori essenziali, una differenza spiegata dall’instabilità e l’inattività lavorativa nei primi. Inoltre, nel secondo semestre del 2020 si evidenzia il calo del tasso di occupazione giovanile tra i 15 e i 34 anni (-3,2 punti percentuali) e di quello degli stranieri (-5,5 punti percentuali) rispetto a una variazione media pari a -1,9 punti.
  • Obiettivo 17 – Partnership per gli Obiettivi. Nel 2020 si assiste ad un aumento straordinario del rapporto tra debito pubblico e PIL, indicatore che integra quello relativo all’Aiuto pubblico allo sviluppo (APS), il solo utilizzato fino allo scorso anno.

Infine, per cinque Obiettivi (6 – Acqua pulita e servizi igienico-sanitari, 7 – Energia pulita e accessibile, 11 – Città e comunità sostenibili, 14 – Vita sott’acqua e 15 – Vita sulla terra) non è stato possibile produrre una stima dell’andamento nel 2020 a causa della mancanza di informazioni aggiornate o dell’effetto contrastante dei fenomeni osservati all’interno dello stesso Obiettivo.

4. Diseguaglianze urbane e metropolitane: le periferie

Nelle periferie che caratterizzavano la fase dell’urbanizzazione, si presentano oggi assai vari e differenziati, dato che le condizioni di svantaggio e di subalternità delle periferie sono dovute a una molteplicità di fattori.

Ai luoghi storici di concentrazione della sofferenza urbana, corrispondenti ai quartieri di edilizia sociale realizzati dal dopoguerra sino ai primi anni ’90, se ne sono affiancati altri: dapprima, le zone abusive – nate soprattutto nel Centro-Sud dalla fine degli anni ’60 – poi nuovi ghetti, animati dai primi anni ’90 soprattutto dall’immigrazione straniera e da fasce di popolazione gravemente emarginata, che è andata a insediarsi negli ambiti delle dismissioni produttive e dei grandi servizi urbani, in zone dei centri storici meno pregiati abbandonati dalla popolazione autoctona, e in spazi e immobili di proprietà pubblica abbandonati o non adeguatamente sorvegliati.

In questi contesti, la marginalità e la disoccupazione, l’abbandono scolastico, la moltiplicazione di comportamenti illegali e le incapacità gestionali dei corpi del settore pubblico competenti, svolgono un ruolo di aggravamento e amplificazione del disagio sociale, che sempre più spesso si produce in ambiti i più diversi, non sempre e non necessariamente identificabili con specifiche connotazioni spaziali. Ciò determina un profondo cambiamento, in quanto le diseguaglianze, che prima si esprimevano per lo più al margine dello sviluppo urbano, nelle nuove condizioni si realizzano all’interno dello spazio della città diffusa. In passato si riteneva che il problema della povertà e della disuguaglianza fosse essenzialmente connesso alla dotazione di capitale fisso. Ne sono derivate politiche per la casa per dare alloggio ai ceti meno abbienti che si stavano inurbando, dando una risposta fisica a una tematica sociale.

In questo modo, come evidenziato in recenti ricerche, l’approccio patrimonialista è risultato essere fra i maggiori responsabili del fallimento delle politiche sociali in ambito urbano. Per questo, alcuni recenti approcci stanno tentando di superare positivamente tali contraddizioni, identificando le seguenti azioni orientate a ridurre le disparità:

  • avviare processi creativi nelle periferie urbane, promuovendo i soggetti locali a protagonisti dello sviluppo, come negli esempi delle cooperative di comunità. Per sostenere la formazione di milieu attrattivi sono essenziali la qualità ambientale e la qualità dei servizi urbani;
  • realizzare un nuovo partenariato fra enti locali e comunità organizzate per uscire dal fallimento del welfare state, in coerenza con la sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2020, che ha riconosciuto il ruolo sociale delle cooperative di comunità e del Terzo settore, con cui progettare esperienze di amministrazione condivisa non fondate su rapporti contrattuali;
  • sostenere le esperienze di retake e di cura degli spazi urbani messe in campo direttamente dagli abitanti delle zone degradate per far fronte al fallimento della gestione pubblica dell’intervento sociale. Si tratta di interventi a caratterizzazione essenzialmente sociale, avviati per affrontare problemi di degrado fisico.

L’individuazione degli ambiti bersaglio delle politiche di contrasto alla disuguaglianza ha oggi superato la logica della perimetrazione fisica, propria dell’approccio patrimonialista, e individua contesti, ovvero luoghi che si caratterizzano per la compresenza di diverse problematiche e per una popolazione che va pensata come risorsa attivabile e parte della soluzione, anziché solo del problema. La stessa pianificazione urbanistica più attenta e sensibile non legge più la città solo per parti fisiche (l’urbs) ma tende a riconoscere ambiti dotati di capacità di autoidentificazione sociale e di identità comunitaria (la polis). L’azione di rigenerazione urbana si trova nella necessità di formare e gestire apparati conoscitivi sempre più ampi e diversificati, in grado di saper leggere e interpretare la sofferenza urbana all’intersezione fra i diversi temi e problemi. A questa difficoltà si aggiunge la scarsa capacità di mobilitare le risorse pubbliche in modo coordinato, per produrre modalità d’intervento non settoriali.

5. Le proposte dell’ASviS per uno sviluppo sostenibile delle città e dei territori

Nel maggio 2020 l’ASviS ha elaborato la proposta “Per un Pacchetto di investimenti a favore dello sviluppo sostenibile delle città e dei territori” che è stata consegnata al Governo nel corso degli Stati generali il 20 giugno.

I presupposti della proposta sono i seguenti:

  • occorre cambiare il modello economico dominante nella direzione dello sviluppo sostenibile. Tentare di ricostruire le condizioni economiche precedenti alla crisi da COVID-19 senza affrontare le sue cause ambientali e le sue conseguenze sociali ci esporrebbe a nuovi disastri: per questo, bisogna orientare le risorse per accrescere la “resilienza trasformativa” del sistema;
  • c’è bisogno soprattutto di investimenti, sia pubblici che privati, su un arco temporale decennale capaci di stimolare la domanda interna, creare nuove opportunità di lavoro e accelerare la transizione ecologica, quello che colpevolmente non fu fatto in Europa dopo le crisi degli anni 2008-2009 e 2011-2012;
  • le città e i territori sono il fulcro della svolta, poiché i ritardi accumulati dal nostro Paese nel percorso verso gli SDGs possono essere recuperati e si può invertire la rotta solo rendendo protagonisti i territori e le istituzioni più vicine ai cittadini, Regioni, Province e Città metropolitane, Comuni e loro Unioni.

I temi individuati nel Pacchetto di investimenti sono:

  • la transizione verde, per azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050, come prevede il Green Deal europeo;
  • la trasformazione digitale;
  • la sanità;
  • la lotta alla povertà.

Il costo del Pacchetto (201,7 miliardi di euro in 10 anni) è compatibile con la disponibilità di risorse europee del Next Generation EU e, se realizzato interamente, farebbe aumentare la spesa pubblica per investimenti di 20 miliardi all’anno, spesa che tra il 2008 al 2017 è crollata di oltre 30 miliardi all’anno, da 61,7 a 31,3.

Un altro motivo per cui i territori sono fondamentali per superare le cause che hanno generato la pandemia e per imboccare un percorso di sostenibilità, riguarda proprio le forme dell’urbanizzazione e dello sviluppo territoriale. La dispersione dei territori dell’urbanizzazione diffusa è insostenibile a causa del consumo di territorio e della domanda di mobilità individuale su auto che essa induce. Per questo, occorre rendere le città più compatte, vivibili e resilienti, con opportune politiche di addensamento e rarefazione insediativa, e invertire la tendenza all’abbandono delle aree interne e dei territori ritenuti marginali, attraverso un’alleanza virtuosa che superi le sterili contrapposizioni che tendono ad affiorare nel dibattito pubblico.

L’Unione europea, con il piano Next Generation EU2, ha messo in campo un’iniziativa senza precedenti per una ripresa trasformativa dalla crisi da COVID-19 fortemente orientata agli obiettivi del Green Deal annunciato dalla Commissione von der Leyen l’11 dicembre 20193. Il Recovery and resilience facility (672,5 MLD di euro), parte di Next Generation EU, prevede la presentazione alla Commissione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR), che dovrà necessariamente basarsi sul contributo fondamentale delle città e dei territori. Si prevede che l’Italia possa contare su 209 miliardi di euro da impiegare entro il 2026.

Le tre priorità della Commissione europea per la Strategia annuale per la crescita sostenibile 2021 (si veda la Comunicazione del 17 settembre 2020) sono le stesse della proposta di Pacchetto di investimenti di ASviS: transizione verde (37% di spese per il clima); transizione digitale e produttività (20% spesa per il digitale); equità. La Commissione europea aggiunge poi una quarta priorità, Stabilità macroeconomica (sostenibilità del debito e più investimenti) che un Paese come l’Italia, con un alto debito pubblico, non può certo ignorare.

Esse corrispondono pienamente agli SDGs in base ai quali è stato riorientato il Semestre di bilancio europeo (Comunicazione della Commissione europea del 27 dicembre 2019) e che guideranno di conseguenza l’esame dei PNRR da parte della Commissione.

Anche le linee-guida del Comitato interministeriale per gli affari europei (CIAE) del 16 settembre 20205 sono articolate in 6 missioni (Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per la mobilità.; Istruzione, formazione, ricerca e cultura; Equità sociale, di genere e territoriale; Salute) che possono essere facilmente ricondotte alle tre priorità europee.

Ad esse si affiancano sei politiche e riforme di supporto: Investimenti pubblici; Pubblica Amministrazione; Ricerca e sviluppo; Fisco; Giustizia; Lavoro.

Inoltre, la comunicazione della Commissione invita gli Stati a integrare i fondi nazionali, i fondi del Recovery and resilience facility europeo e i fondi della politica di coesione UE 2021-2027 coordinando le principali Strategie nazionali e predisponendo un unico documento che metta insieme PNRR e Programma nazionale di riforma (PNR) da inviare alla Commissione entro aprile 2021.

C’è quindi una duplice sfida che sta ora davanti al nostro Paese se vogliamo cogliere l’occasione di utilizzare al meglio le risorse europee:

  • integrare i fondi e le politiche, come ci chiede l’Europa e sta facendo la Francia con il Piano France relance;
  • assumere l’Agenda 2030 come quadro complessivo di riferimento per costruire la indispensabile coerenza tra le politiche e le strategie di settore, secondo gli indirizzi del nuovo Semestre di bilancio europeo e come sta facendo la Spagna con il Piano España puede, tutta incentrato sull’attuazione degli SDGs. Purtroppo, né le linee guida del CIAE per il PNRR né le risoluzioni parlamentari fanno riferimento agli SDGs, se non in modo incidentale, e questo dà il senso di quanta strada c’è ancora da percorrere per andare in questa direzione.

Circa le modalità di predisposizione del PNRR e del Programma nazionale di riforme (PNR) 2021 le proposte dell’ASviS sono le seguenti:

  • elaborare un unico Documento che comprenda PNRR e Programma nazionale di riforma (PNR) 2021 come richiesto dall’Europa con le caratteristiche di un Programma quadro per lo sviluppo sostenibile che metta a sistema le diverse e molteplici Strategie e Piani di azione settoriali o almeno i più importanti (Piano nazionale integrato energia e clima – PNIEC, Programma strategico di contrasto ai cambiamenti climatici e qualità dell’aria, Piano per l’economia circolare, Strategia forestale nazionale, Piano mobilità sostenibile, Piano banda ultra larga, Piano nazionale scuola digitale, Piano per il Sud, Piano per la non autosufficienza, Piano contrasto alla povertà, Piano nazionale della cronicità, Patto per la salute). Il Programma dovrebbe integrare i diversi fondi (nazionali, del Recovery and resilience facility europeo e della politica di coesione Ue 2021-2027), coprire l’intero arco temporale 2021-2026 del programma Next Generation EU e assumere la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS) in corso di aggiornamento come scenario al 2030;
  • costruire i sistemi di monitoraggio previsti dal Recovery and resilience facility sulla base degli obiettivi dell’Agenda 2030 e dei relativi Target nazionali, i quali vanno assegnati in modo differenziato alle Regioni e ai territori per produrre un percorso di convergenza verso gli obiettivi al 2030. Un buon esempio è la direttiva del Ministro dello Sviluppo economico Burden sharing del 2012 per la ripartizione tra le Regioni e le Province autonome dell’obiettivo nazionale al 2020 relativo alla produzione di energia da fonti rinnovabili;
  • assicurare il forte coinvolgimento delle Regioni, delle Province, delle Città metropolitane, dei Comuni e delle loro Unioni nel disegno e nell’attuazione del Programma al fine di assicurare piena coerenza tra le politiche pubbliche nazionali e quelle realizzate ai diversi livelli territoriali;
  • predisporre una Agenda urbana nazionale per lo sviluppo sostenibile, come articolazione della Strategia nazionale, con un forte ruolo di coordinamento da parte del Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU) opportunamente riformato;
  • dare continuità anche per il prossimo settennato 2021-2027 alla Strategia nazionale per le aree interne (SNAI) attraverso la sua evoluzione da sperimentazione a vera e propria politica strutturale a favore delle aree interne e marginali del Paese, con azioni orizzontali che contribuiscano alle priorità del Next Generation EU;
  • definire le nuove procedure che il Comitato interministeriale per la programmazione eco-.

Le proposte dell’ASviS per uno sviluppo sostenibile delle città e dei territori economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) – la cui partenza è stata avviata il primo gennaio 2021 – adotterà per valutare i progetti d’investimento, ivi compresi quelli che verranno accettati nell’ambito del PNRR. È opportuno che il CIPESS assuma il ruolo di Cabina di regia del PNRR. A tal fine sarebbe utile introdurre uno strumento che consenta il controllo di sostenibilità dei singoli progetti rispetto agli SDGs e ai relativi Target. L’esperienza della Regione Lazio in materia potrebbe essere trasformata in uno standard da usare a livello nazionale…

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