L’attacco di Erdogan ai curdi nel Rojava era già concordato

Difficilmente il sultano sarebbe passato all’azione senza il consenso delle potenze che si dividono lo scacchiere mediorientale. Ecco i veri interessi del “Grande Gioco” siriano dietro il grottesco “teatrino” di Donald Trump

di Fulvio Scaglione

Pubblicato il 18/10/2019 su Famiglia Cristiana

Il Buono, il Brutto e il Cattivo. Il feroce Saladino e qualche altro tanghero dell’opera dei pupi. Ci vuol poco a trasformare la guerra nel Nord della Siria, l’attacco turco, la resistenza disperata dei curdi, le mattane di Trump, le mosse di Assad e le astuzie di Putin in una saga di caratteri. Ma è bene non dimenticare, ci piaccia o no, che c’è una logica in questa follia. Tanto per cominciare, l’offensiva militare lanciata da Recep Erdogan non è stata un fulmine a ciel sereno. “Fonte di pace” (l’assurdo nome scelto per questa operazione militare che ha già fatto centinaia di morti e decine di migliaia di profughi) viene dopo “Ramoscello d’ulivo” (2018, contro i curdi del cantone di Afrin) e “Scudo dell’Eufrate” (2016, ancora contro i curdi e contro l’Isis nell’area di Al Bab), le altre due avanzate che l’esercito turco ha compiuto in territorio siriano negli ultimi anni. Si tratta dunque della prosecuzione della strategia che Erdogan ha messo in atto per lungo tempo, con il duplice obiettivo di contribuire allo smembramento della Siria e infliggere un colpo decisivo ai curdi e alla loro ambizione di creare un’entità statuale autonoma sulla base del Rojava.

Difficilmente Erdogan sarebbe passato all’azione se non avesse saputo di avere il “permesso” di farlo. La sequenza dei fatti lo dimostra. L’esercito turco è entrato in azione solo poche ore dopo l’annuncio di Donald Trump sul ritiro dal Nord della Siria delle truppe americane che facevano da ombrello militare e soprattutto politico ai curdi. Nemmeno un esercito potente come quello turco avrebbe potuto farlo, se non fosse già stato sull’avviso. In più, Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, che si è recato ad Ankara, non ha fatto altro che invitare Erdogan alla moderazione. La stessa cosa che ha fatto anche Trump nella bizzarra lettera del 9 ottobre in cui invita il presidente turco a “non fare lo sciocco”. Non è certo la pressione che si dovrebbe esercitare su qualcuno che dev’essere a tutti i costi fermato.

Anche la Russia si è mostrata condiscendente con i propositi di Erdogan. Ripassando le dichiarazioni di Sergej Lavrov, ministro degli Esteri della Federazione russa, si notano la forte critica nei confronti degli americani e dei curdi e le poche parole di circostanza nei confronti della Turchia. Parola più, parola meno, il messaggio è stato: cari curdi, avete voluto allearvi agli Usa? Adesso arrangiatevi. Sia gli Usa sia la Russia, nello stesso tempo, si sono impegnati a “tener buoni” gli alleati. L’Arabia Saudita, che non ha troppa simpatia per la Turchia che sostiene il suo rivale Qatar, ha taciuto. Israele ha condannato l’attacco ma in modo formale. Dall’altro lato, l’Iran ha mosso qualche reparto dell’esercito al confine con la Turchia ma si è subito placato di fronte alle rassicurazioni del Cremlino. E Assad, pur mobilitando l’esercito, non ha fatto colpi di testa. Lo stesso atteggiamento tenuto nel 2018 quando Erdogan aveva fatto attaccare Afrin.

La domanda vera è: perché? Quali sono gli interessi dei protagonisti? Partiamo dagli Usa. Da tempo l’amministrazione Trump ha sposato la causa di Arabia Saudita (e petromonarchie limitrofe) e Israele: il vero pericolo per il Medio Oriente è la crescente influenza dell’Iran. Limitarla è l’obiettivo strategico, quello che ha provocato, per esempio, il ritiro degli Usa dal trattato sul nucleare del 2015 con la conseguente ondata di sanzioni ai danni della Repubblica islamica. La Siria è considerata persa, almeno rispetto all’obiettivo iniziale di cacciare Assad e insediare un governo filo-occidentale. In questo quadro, l’avanzata dei turchi sunniti verso l’area in cui le milizie sciite filo-iraniane dell’Iraq potevano congiungersi con i pasdaran iraniani presenti in Siria, non può dispiacere troppo agli Usa.

La Russia, a sua volta, incassa una forte rendita di posizione. Gli americani si ritirano, ed è già un vantaggio. Certo, potrebbero riposizionarsi in pochi minuti, usando le basi militari in Arabia Saudita e Qatar, che stanno rafforzando. Ma intanto si allontanano. Lo spirito autonomista curdo, inoltre, era comunque una spina nel fianco della Siria di Assad, che Vladimir Putin ha salvato dallo sfacelo. Per non parlare del cantone di Idlib, tenuto da formazioni ribelli sostenute anche dalla Turchia. I tentativi di prenderlo con le armi sono stati un incubo, con molti morti tra i civili. Lasciando passare Erdogan e il suo esercito ma poi facendo mobilitare l’esercito siriano per limitarne l’avanazata, Putin si è messo nelle condizioni di giocare il ruolo del moderatore, del mediatore. Rafforzando le relazioni con la Turchia, evitando ad Assad guai peggiori e, anzi, portandoli in dono un accordo con i curdi, potendo forse trovare un’intesa con Erdogan per il problema di Idlib.

Da qualunque punto di vista, insomma, i curdi erano diventati un impiccio. A dispetto dei sacrifici 11 mila morti) da loro sostenuti nella lotta contro il Califfato e le formazioni dell’estremismo islamista, della novità politica rappresentata dal democratico Rojava nel Medio Oriente dei regimi autoritari e dittatoriali, e di ogni altra cosa positiva che si possa dir di loro. Così sono stati abbandonati da tutti. L’accordo che Mike Pence, vice-presidente degli Usa, ha siglato con Erdogan è il timbro sula loro sconfitta. Cinque giorni di tregua per dar tempo ai curdi di retrocedere di 30 chilometri rispetto al confine con la Turchia, ovvero per sgombrare quella “fascia di sicurezza” che Erdogan ha chiesto fin dal principio. Con un’ulteriore beffa: i combattenti delle milizie curde possono accettare le proposte di Assad, che ovviamente li vuole disarmati o sotto il comando dei propri vertici militari.

Mentre si consuma il dramma reale dei curdi, si spegne il dramma finto, ovvero l’allarme sulla possibile rinascita dell’Isis a causa dello sbandamento del Rojava e delle sue forze di sicurezza. L’Isis è nato e si è sviluppato grazie ai quattrini dell’Arabia Saudita e alla complicità con essa delle potenze occidentali. In questa fase, per quanto detto finora, l’Isis non è necessario. Quindi non rinascerà, che i curdi riescano a controllare le loro prigioni o no.

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