La mappa della ricostruzione della Siria

Dopo i negoziati russi, i firmatari tentano una riconciliazione. Turchia, Cina e Francia in prima linea a Damasco, Aleppo, Idlib. Italia (quasi) non pervenuta. Ma Raqqa non si rialza.

Articolo pubblicato su Lettera43 da Barbara Ciolli

L’amara considerazione del Nobel per la pace ed ex presidente americano Jimmy Carter – «in Siria una pace orribile è meglio di altra guerra» – si sta traducendo nell’inizio della ricostruzione. I siriani che in parte ritornano nelle loro case o quel che ne resta (mentre altri sono stati espropriati e restano invisi a Damasco); i mercati e i servizi che riprendono le attività; le prime imprese straniere che si fanno vive per gli appalti del Dopoguerra e Stati confinanti come la Giordania pronti a riaprire le frontiere e l’import-export con Damasco sono una conseguenza del memorandum per la de-escalation del conflitto siriano sottoscritto ad Astana, in Kazakistan, da Siria, Turchia, Iran e Russia, regista dei negoziati.

La mappa della ricostruzione è composita, per i modelli politici e sociali contrapposti della Turchia e dell’asse tradizionale di Siria-Iran e Russia. Ma il superamento del conflitto e dello stallo si deve al compromesso raggiunto nel corso delle trattative del Cremlino e l’alleanza stretta nel frattempo tra Turchia, Qatar, Russia e Iran contro gli embarghi dell’Arabia Saudita e degli Usa. Così se Idlib è ideologicamente il fortino dei ribelli sunniti anti-Assad e resta una zona non completamente sicura, esposta ad attacchi russi e siriani, di fatto Ankara e Doha hanno la prerogativa della ricostruzione nelle zone di loro influenza a Nord di Aleppo. Mentre nel Nord Est i cantoni curdi mandano avanti il progetto confederale della Rojava.

I FRANCESI SONO I PRIMI EUROPEI A TORNARE

L’area più immobile resta Raqqa, l’ex roccaforte dell’Isis bombardata per l’80% del territorio. Liberata da tutti i protagonisti dello scacchiere siriano ora pare terra di nessuno. Seguita dalla cittadina meridionale di Deir ez Zor. Nell’ex sedicente Califfato restano cellule di jihadisti e nessuno è pronto a investirci. Viceversa il maggiore ritorno alla normalità si registra nelle zone della provincia di Damasco e della fascia costiera di Latakia, da anni in mano alle forze governative di Bashar al Assad. Nella capitale siriana sono stati smantellati i check point (un paio quelli rimasti) e dal 3 al 6 ottobre scorso alla fiera Rebuild Syria erano presenti 26 Paesi, inclusa l’Italia anche se l’attività delle imprese dei nostri connazionali resta in sordina. Mentre tra gli occidentali, i più attivi a sondare il terreno sono i francesi.

FERROVIE RICOSTRUITE E AUTO CINESI

Sempre a Damasco sono spuntate diverse filiali di banche cinesi. Le aziende di Pechino, da tempo presenti in Libano nell’attesa che la situazione in Siria si sbloccasse, sono, con quelle di Russia e Iran, le maggiori aggiudicatarie degli appalti e delle commesse nelle infrastrutture. Alla Fiera internazionale di Damasco, lo scorso settembre, la Cina ha annunciato l’impegno a costruire acciaierie e centrali elettriche e a produrre auto a Homs. Tra la capitale siriana e Aleppo sono ripresi a transitare i treni e il ministero siriano dei Trasporti ha comunicato la riparazione di circa 1.800 dei quasi 2.500 chilometri di binari del Paese. Un’altra priorità è poi riaprire, oltre alle scuole, ospedali e centri medici danneggiati dalla guerra.

I FISIATRI E LE PROTESI ITALIANE

A Latakia a febbraio 2019 decollerà uno dei primi progetti sanitari, l’unico con attori pubblici e privati italiani. Si tratta di un corso di laurea triennale in Terapia occupazionale per formare personale per la riabilitazione fisica e psichica di disabili, anche per ferite di guerra. Docenti dell’università di Modena e Reggio Emilia, che nel settembre 2018 ha stretto una partnership con l’università al Manara a Latakia, sono coinvolti nel programma, insieme con associazioni, cooperative e imprese italiane e siriane specializzate nell’assistenza ai disabili, nello sviluppo di protesi e altre tecnologie per la riabilitazione. Realtà che sono presenti da anni anche nelle periferie più povere e colpite di Damasco, con diversi progetti riguardanti servizi socio-sanitari.

LA MOSTRA DELLE ANTICHITÀ

Nei quartieri centrali della capitale si stanno nuovamente riempiendo locali e mostre come quella dedicata ai Tesori recuperati della Siria, allestita il 4 ottobre scorso nella Casa dell’Opera con 500 pezzi dell’antichità siriana. Oltre 9 mila reperti archeologici, hanno fatto sapere dal Direttorato delle arti, sono stati sottratti alla distruzione e al mercato nero dell’Isis, e sono pronti a rientrare anche dall’estero, nei siti e nei musei. Restauri sono in corso a Palmira e anche nelle zone settentrionali passate sotto l’influenza turca (dove confluiscono anche gli sfollati di altri centri focolai delle rivolte islamiche sunnite come Daraa) ripartono, in un contesto più problematico, cantieri, servizi per i cittadini, iniziative culturali e forme di intrattenimento.

TRIBUNALI E SERVIZI TURCHI

Anche nella Aleppo liberata dai raid russi e dai rinforzi sciiti degli iraniani, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha potuto riavviare il tradizionale export verso gli ex possedimenti ottomani. Lo storico suq di al Hal ha ripreso a commerciare beni alimentari dalla frontiera, mentre è stato chiuso il mercato allestito dell’Isis. Nell’area il governo di Erdogan ha stanziato fondi per le scuole danneggiate e un’Ong turca, nel settembre scorso, ha riaperto un istituto per 1.500 studenti. Sempre la Turchia ha iniziato a fornire gas alla parte settentrionale del governatorato di Aleppo, paga gli stipendi degli addetti ai servizi pubblici e nell’estate ha costruito una stazione degli autobus, lanciando i primi collegamenti di linea.

IDLIB TENTA LA RICONCILIAZIONE

Nelle zone occupate, nel 2017, dall’avanzata dell’esercito libero siriano dei ribelli e delle truppe spedite da Ankara per l’Operazione scudo d’Eufrate, il governo turco ha avviato dei corsi di inserimento lavorativo, basati sul modello di istruzione nazionale, in management, design e sviluppo di energie alternative. Sempre con gli standard di Ankara – nell’area che include anche la provincia di Afrin sottratta ai curdi – è stato costruito un primo Palazzo di giustizia e formato personale specializzato per colmare il vuoto istituzionale che perdurava dal 2011: si va verso una gestione federale, come nella regione curda della Rojava, tollerata dal governo centrale di Assad. Anche a Idlib, dove resistono sacche di jihadisti, la propaganda degli islamisti parla di «processo di riconciliazione».

LA DIFFICILE AMMINISTRAZIONE DI RAQQA

Come ad Aleppo, anche a Idlib si organizzano festival, è in corso una campagna per la difesa dei beni archeologici, si tengono corsi di formazione ed è nata una fondazione cittadina per promuovere spettacoli teatrali, altre performance e mostre d’arte: «Non siamo a Tora Bora» dichiarano dal centro. La devastazione dell’Afghanistan non cessa però di paralizzare Raqqa dove si continuano a estrarre cadaveri. L’ex capitale siriana dell’Isis è un ammasso di macerie a causa dei bombardamenti a tappeto contro i terroristi. Dopo la liberazione guidata dalle forze curde Ypg, è stato istituito un Consiglio civico cittadino, democratico quanto impotente. Americani, russi, iraniani, turchi, curdi e siriani uniti a Raqqa contro l’Isis, sono troppi per la ricostruzione.

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