Siamo operatori di Armadilla, presenti da oltre vent’anni in Siria in attività di cooperazione internazionale e vorremo confrontarci sulle posizioni espresse nei media in risposta alle seguenti domande:
- Ci sono prove dell’uso di armi chimiche in Siria?
- I bombardamenti chimici a Douma del 4 aprile 2018 sono soltanto una bufala?
- L’attacco chimico, se anche accaduto, è attribuibile ad Assad? Che bisogno avrebbe quest’ultimo di macchiarsi di un altro crimine contro i civili, nel momento in cui sta di fatto vincendo la guerra?
- L’obiettivo delle potenze occidentali, Nato e UE, è soltanto punire Assad per assumere il controllo della Siria a discapito della Russia e dell’Iran?
In tanti sono convinti che esistano le prove dell’uso di armi chimiche da parte delle forze governative siriane. A noi pare invece che la questione sia molto dubbia e che vi siano invece indizi che inducono a ipotizzare il contrario.
In un recente passato un rapporto del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite provò che furono utilizzate armi chimiche ma non si trovarono prove che ciò fosse responsabilità del Governo di Bashar al-Assad. Nell’agosto del 2013 nella Regione della Goutha Orientale ci fu un attacco che produsse moltissimi morti, e che imputandolo subito all’esercito siriano spinse il Presidente Obama a dichiarare “superata la linea rossa” che avrebbe aperto l’intervento militare Usa contro la Siria. Le contraddizioni delle informazioni, la non certezza dell’inchiesta, la collaborazione con la Russia, però spinsero il Presidente USA a non intervenire direttamente ma richiedere la distruzione di tutto l’arsenale chimico esistente in Siria; distruzione completamente avvenuta, secondo il monitoraggio allora fatto dalle organizzazioni internazionali preposte.
Secondo il più importante giornalista d’inchiesta al mondo, Seymour Hersh, da fonti dirette sia in Siria sia tra le alte sfere dell’intelligence Usa, ha scritto che l’attacco a Goutha non fu opera dei militari governativi ma dei ribelli jihadisti con il sostegno di Erdogan. Per una operazione mirata a far entrare in guerra subito gli Stati uniti che con Obama avevano intimato che l’uso di armi chimiche avrebbe oltrepassato «la linea rossa».
Giorni dopo l’attacco a Khan Shaykun,nel 2017, l’amministrazione Trump ha reso pubblico un documento di quattro pagine “declassificato” con le “valutazioni inequivocabili” dell’intelligence Usa, secondo cui sarebbe stata l’aviazione siriana ad usare le armi chimiche che ha provocato la morte di 80 persone e centinaia di feriti. Le immagini dei bambini morti o agonizzanti colpiti dal gas Sarin, hanno scosso l’opinione pubblica mondiale e spinto gli Usa ad attaccare obiettivi controllati dal governo siriano. In realtà il documento americano, riportato con enfasi da tutti i media occidentali, non prova che l’attacco chimico sia stato opera del governo siriano. Lo afferma, ma non pubblica nessun documento oggettivo che lo provi. Lo stesso tracciato radar in mano agli americani confermò che un bombardamento aereo fu fatto dall’aviazione Russa che usò i missili SU 22 e questo tipo di missile non può essere equipaggiato con armi chimiche. Il bombardamento chimico deve essere obbligatoriamente effettuato con elicotteri e i tracciati radar non rilevano nessun elicottero in volo in quel momento.
Le prove raccolte dagli americani si basano su fotografie satellitari ed intercettazioni (che però non sono mostrate), più una serie di (testuale): “report di social media pro-opposizione” e “video open-source”, cioè praticamente filmati presi da internet e materiale fotografico, prodotti ovviamente da chi era sul terreno e aveva agibilità nella zona colpita dal bombardamento. Si ricorda che la zona interessata era sotto il controllo delle formazioni mercenarie di Al Qaeda. Sono loro ad aver girato i video e fatto circolare immagini che la Cia e i media occidentali hanno preso come riferimento per le loro conclusioni. Risulta che il rapporto della Casa Bianca “non contiene assolutamente alcuna prova che possa indicare chi è stato l’autore di questa atrocità” e infatti la Commissione d’Inchiesta internazionale non prese il documento americano come prova per confermare l’accusa al governo siriano e legittimare su questa base un intervento armato.
Molti media utilizzarono l’immagine che gli americani avevano individuato come prova del bombardamento chimico da parte di un aereo siriano, il “cratere nella strada a nord di Khan Shaykun”, con all’interno il presunto resto di bomba che avrebbe rilasciato il Sarin. Lo stesso MIT di Boston dimostrò invece che il munizionamento è un tubo apparentemente di 122 mm simile a quelli usati in artiglieria. Nel 2013 furono questi razzi modificati ad essere utilizzati per l’attacco chimico di Goutha. Di certo questo oggetto non ha nulla a che vedere con una bomba d’aereo.
Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al governo di Damasco nell’area di Douma, ultima roccaforte delle milizie jihadiste filo saudite di Jaysh al-Islam nei sobborghi di Damasco.
Innanzitutto perché già in passato attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete mentre notizie e immagini diffuse oggi dai “media center” di Douma come ieri da quelli di Idlib, Aleppo e altre località in mano ai ribelli sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite.
Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali.
Notizie e immagini di attacchi chimici vengono subito diffuse dalle tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.
Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui tutti i media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra, che afferma vantare una vasta rete di contatti in tutto il paese ma di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità.
Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno per dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità.
Meglio ricordare le immagini diffuse l’anno scorso dei ribelli di Idlib (qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra) che mostravano improbabili soccorritori con abiti estivi e privi di protezioni occuparsi di supposte vittime del gas nervino di Assad. Se così fosse stato gli stessi soccorritori sarebbero morti in pochissimi minuti poiché quell’agente chimico viene assorbito anche attraverso la pelle.
A suggerire prudenza sulle posizioni da prendere contribuiscono inoltre altre valutazioni. Il coinvolgimento, per esempio, di Jaysh al-Islam, una milizia salafita nota per aver impiegato i civili come scudi umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i curdi dell’aprile 2016. Il cloro non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere letale in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico.
I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso aggressivo chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri casi incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli stessi ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere civili e attribuirne la colpa al governo di Damasco puntando così a incoraggiare una reazione internazionale contro il governo.
Le forze armate di Assad stanno ripulendo le ultime sacche di resistenza in mano ai ribelli jihadisti e stanno evacuando i civili dalle zone di combattimento: perché dovrebbero scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per cacciare i ribelli anche da Douma?
Perché dovrebbero colpire quei civili che i suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto con i miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento forse in un’area vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?
Il fatto che ieri Israele abbia invocato un attacco militare statunitense contro Damasco (conducendo poi un raid aereo contro la base T-4, vicina a Palmira, con missili lanciati dallo spazio aereo libanese) e Trump abbia accusato anche Russia e Iran in nome di un attacco chimico che nessuna fonte neutrale ha potuto finora verificare, induce a ritenere che ci si trovi di fronte a una ennesima operazione propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche.
La denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra cadere a proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani.
Il ritiro dei duemila americani rischia però di lasciare carta bianca alle truppe turche nel nord del Paese e a quelle di Damasco nell’est, per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si oppone alla decisione annunciata da Trump.
In questa situazione complessa è difficile avere certezze o difendere verità a spada tratta. Possiamo però affermare che la scelta della guerra non è stata risolutiva e sette anni di morte e distruzione debbano finire.
Facciamo nostre le proposte dell’Onu per una mediazione basata sui seguenti punti che l’Italia e l’Europa dovrebbero appoggiare :
- Richiesta a tutte coinvolte nel conflitto ad iniziare e mantenere un cessate il fuoco generale e di fermare ogni tipo di violenza e apertura di corridoi protetti per gli aiuti umanitari di emergenza alla popolazione civile colpita dalla guerra.
- Liberazione immediata di tutti i prigionieri politici e di guerra tenuti in custodia senza processo.
- Disarmo di tutti i gruppi combattenti con la presenza e coordinamento di un contingente delle Nazioni Unite.
- Insediamento in Siria di un governo provvisorio che veda al suo interno la presenza sia di elementi del regime che di membri rappresentativi dell’opposizione.
- Preparazione politico-istituzionale di condizioni per organizzare elezioni pluraliste e trasparenti in una data da concordare.