Il Libano sta affrontando una delle sue giornate più dure dall’inizio del conflitto. Nella notte, Israele ha colpito Beirut, non solo i sobborghi meridionali, ma il centro della città, segnando un’escalation mai vista dal 2006. L’attacco ha distrutto un condominio nella zona di Cola, un nodo centrale della viabilità urbana, uccidendo tre alti membri del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, un gruppo che finora non aveva avuto un ruolo centrale nel conflitto in corso.
Nelle ultime 24 ore, gli attacchi israeliani hanno causato la morte di 136 persone in Libano, colpendo anche Ain al-Delb, a est di Saida, dove 45 persone hanno perso la vita. Nel frattempo, il leader di Hamas in Libano, Fatah Sharif Abu al-Amine, è stato ucciso in un attacco israeliano a Tiro, e Israele ha dichiarato di aver distrutto un magazzino di missili di Hezbollah vicino all’aeroporto di Beirut.
La situazione umanitaria si aggrava. Le UN riferiscono che 100.000 persone sono fuggite dal Libano verso la Siria nell’ultima settimana, sollevando timori di una crisi migratoria.
Il Washington Post riferisce che Israele sta pianificando un’operazione di terra limitata in Libano, che sarebbe stata concordata con gli Stati Uniti. Le dichiarazioni di Netanyahu e del ministro della Difesa Gallant rafforzano l’idea di un’imminente invasione terrestre. Hezbollah, tramite il suo vice-segretario Naim Qassem, ha affermato che il gruppo è pronto a resistere, nonostante le perdite subite.
Gli Stati Uniti, pur parlando di evitare una guerra totale, continuano a rifornire Israele di armamenti, rendendo difficile credere a una vera spinta diplomatica per la pace.