Il fine settimana è stato segnato da un enorme blocco informatico e dal ritiro di Joe Biden dalle presidenziali USA, eventi che hanno rischiato di far passare in secondo piano importanti sviluppi nella crisi mediorientale.
Negli ultimi giorni, lo Yemen è tornato al centro dell’attenzione. Venerdì, un drone del gruppo yemenita Houthi ha colpito Tel Aviv, uccidendo un civile. Israele ha risposto bombardando il porto di Hodeidah, uccidendo 6 persone. Gli Houthi hanno lanciato un missile contro Eilat, intercettato dalle difese israeliane. Nonostante le dichiarazioni bellicose, un’escalation regionale con l’Iran sembra improbabile, dato che l’Iran ha mantenuto un basso profilo e gli Houthi considerano le loro azioni un “fronte di supporto” per Gaza. Israele, già impegnata a Gaza e in Cisgiordania, non ha la capacità di aprire un nuovo fronte a piena intensità in Yemen.
Oggi, l’esercito israeliano ha bombardato Khan Yunis, uccidendo almeno 39 persone, nonostante l’area fosse designata come “zona umanitaria sicura”. L’ordine di evacuazione emesso pochi minuti prima dell’attacco è stato inefficace, poiché non ha dato il tempo ai residenti di cercare riparo.
La cronaca dal Libano non registra eventi particolari, mentre l’ICJ ha ordinato a Israele di porre fine all’occupazione dei territori palestinesi e di effettuare risarcimenti. Il tribunale ha riscontrato numerose violazioni del diritto internazionale, tra cui apartheid e segregazione razziale. Il primo ministro israeliano Netanyahu ha respinto il parere, affermando che “il popolo ebraico non è occupante nella propria terra”. Ora il parere sarà trasmesso all’Assemblea Generale delle UN per decidere come procedere.
In questo contesto, i negoziati per un cessate il fuoco appaiono sempre più fragili. Mentre il Segretario di Stato USA, Antony Blinken, parla di un accordo imminente, funzionari regionali citano negoziati in stallo o naufragati.