Oggi è inevitabile partire da quanto accaduto ieri, ovvero l’uccisione di Vaibhav Anil Kale, un dipendente del Dipartimento per la Sicurezza del Segretariato generale delle UN, ucciso in un attacco israeliano mentre viaggiava verso l’ospedale europeo vicino a Rafah.
Kale era di nazionalità indiana e si trovava a bordo di un veicolo chiaramente contrassegnato con il logo dell’ONU.
È il primo lavoratore non palestinese dello staff delle UN a essere ucciso nella Striscia.
E proprio a Rafah, i carri armati israeliani continuano ad avanzare da est e da nord verso il centro della città.
Si stima che almeno 500.000 persone siano già fuggite da Rafah da quando l’IDF ha dato l’ordine di evacuazione cinque giorni fa, e si sono dirette ad al-Mawasi, nella cosiddetta “zona umanitaria estesa”, dove cibo, acqua e servizi igienici sono completamente inadeguati.
E infatti uno dei partner di ActionAid a Rafah, Wefaq, ha annunciato la sospensione delle operazioni umanitarie, perché gli aiuti non stanno entrando e perché ha dovuto sfollare gran parte del proprio personale a causa dei livelli di pericolo definiti “senza precedenti” e che rendono impossibile lavorare.
Ad aggravare le cose, ieri un gruppo di coloni israeliani, chiamato Tsav 9, ovvero Commando 9, ha attaccato un convoglio umanitario diretto a Gaza che stava transitando al chekpoint di Tarqumiya, a ovest di Hebron, in Cisgiordania.
Alla luce di quanto sta succedendo a Rafah, le trattative per una tregua sono di nuovo in stallo.
In Libano i combattimenti tra Hezbollah e Israele continuano senza pause.
Questa mattina aerei israeliani hanno attaccato il villaggio di Meis el-Jabal, colpendo una casa e uccidendo un combattente di Hezbollah.