Domenica 23 aprile 2018 a Bani Qais, nel governatorato di Hajja 19 persone, tutte che festeggiavano le nozze, sono state barbaramente uccise da raid. Nell’ultima settimana gli aerei della coalizione guidata dall’Arabia Saudita araba hanno ucciso almeno 45 civili, compresi donne e bambini.
Di fronte a queste scene, di fronte a migliaia di bambini morti di colera o di malnutrizione, gli editoriali di quei pontefici del mainstream che tessono le lodi di un principe saudita che si presenta come il nuovo perché apre gli stadi alle donne e i cinema in città. Dove sono quegli opinionisti che parlano di Ghouta?
E perché in troppi tacciono sullo Yemen?
Ciò è dovuto al fatto che non si può attaccare apertamente un alleato dell’Occidente come l’Arabia Saudita? Che non si possono denunciare eccidi guidati anche da forze speciali occidentali?
La guerra in Yemen è una guerra sporca che non può, evidentemente, essere raccontata troppo bene, perché gli interessi sono troppi.
Ma se la compassione la fa da padrona quando gli “elmetti bianchi” mandano video di presunti attacchi chimici, deve esserci la stessa compassione di fronte a questi innocenti.
Solo una maggior consapevolezza dell’opinione pubblica internazionale può fermare questi massacri e fermare la spirale di morte che avvolge tutto il Medio Oriente.
È dal mese di marzo del 2015 che aerei dell’Arabia Saudita e di altri paesi arabi hanno iniziato a bombardare le postazioni in Yemen dei ribelli sciiti Houthi, che avwevano preso il controllo della capitale Sana’a e di altri territori nell’ovest del paese. La situazione in Yemen era molto tesa da mesi, tanto da far parlare diversi analisti di “guerra civile”. La storia recente dello Yemen – il paese più povero del Medio Oriente – è cambiata d’improvviso tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, quando Ali Abdullah Saleh, il capo del paese da oltre trent’anni, ha lasciato il potere. Dal 2012 in Yemen è stata avviata una lenta e complicata transizione politica, sostenuta e in qualche modo guidata dai paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar). Dopo molte pressioni, Saleh ha accettato di lasciare il potere e Abdel Rabbo Monsour Hadi è diventato il nuovo presidente: l’elezione di Hadi è stata riconosciuta dai paesi arabi e dall’Occidente. Gli Stati Uniti hanno cominciato a collaborare molto con Hadi, con cui condividono due grandi avversari: Al Qaeda nel sud e i ribelli sciiti Houthi nel nord del paese. Gli Houthi sono un gruppo sciita zaydita, una setta molto particolare dello sciismo di cui fa parte circa il 35 per cento della popolazione musulmana yemenita: per molto tempo zayditi e sunniti hanno pregato nelle stesse moschee e si sono sposati gli uni con gli altri. Zayditi e Saleh non sono sempre stati alleati, anzi: gli zayditi, che hanno governato nel nord dello Yemen per secoli, sono stati oppressi da Saleh tra il 2004 al 2010. La rapida avanzata degli Houthi è spiegata anche dai legami del gruppo con l’Iran. Gli Houthi hanno sempre negato di avere legami con l’Iran, ma diverse inchieste giornalistiche e testimonianze – anche di funzionari iraniani – hanno dimostrato il contrario. La situazione dello Yemen è complicata ancora di più dalla forte presenza di al Qaeda nella Penisola Arabica che controlla alcuni territori nel sud del paese. Nonostante il generale disinteresse della stampa internazionale, ci sono diversi motivi per cui i paesi arabi – appoggiati dagli Stati Uniti – hanno deciso di cominciare una guerra in Yemen. Primo: lo Yemen si trova in una posizione strategica, perché controlla mezzo stretto di Bab el Mandeb, che collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden e che è una via di commercio piuttosto importante, anche per il passaggio del petrolio.
L’attuale conflitto, quindi, non si può ridurre né a una lotta tra sunniti e sciiti né a una guerra per procura tra Arabia saudita e Iran.
Negli ultimi tre anni i sauditi e i loro alleati hanno distrutto quasi tutte le infrastrutture del paese e persino i siti archeologici e i palazzi architettonici dell’antica città di Sana’a, per l’Unesco patrimonio dell’umanità.
Fino a quando può continuare questo genocidio ?