di Vincenzo Pira
Sono a Tunisi, nella centrale via Bourguiba e parlo con Farid delle elezioni tunisine, del ballottaggio per la presidenza delle Repubblica di domenica 13 ottobre. Scherza e dice di aver votato per il primo partito, quello dell’astensione: “Tanto non cambia nulla, sono tutti uguali, tutti ladri”. Farid, come il 58,7 % degli aventi diritto non è andato a votare al primo turno e non andrà a votare neanche domenica per scegliere il presidente della Repubblica. La Tunisia si appresta ad affrontare uno dei momenti più delicati per l’esito del processo di trasformazione istituzionale e democratizzazione iniziato nel 2011 con la caduta del regime del presidente Zine el-Abidine Ben Ali. A distanza di più di otto anni, il paese è ancora in una fase di transizione che lo rende potenzialmente fragile e che fa sì che rimangano ancora in piedi tutte le incertezze e le incognite legate all’effettiva riuscita o meno del passaggio da un regime autoritario a un sistema pienamente democratico.
rguiba e parlo con Farid delle elezioni tunisine, del ballottaggio per la presidenza delle Repubblica di domenica 13 ottobre. Scherza e dice di aver votato per il primo partito, quello dell’astensione: “Tanto non cambia nulla, sono tutti uguali, tutti ladri”. Farid, come il 58,7 % degli aventi diritto non è andato a votare al primo turno e non andrà a votare neanche domenica per scegliere il presidente della Repubblica. La Tunisia si appresta ad affrontare uno dei momenti più delicati per l’esito del processo di trasformazione istituzionale e democratizzazione iniziato nel 2011 con la caduta del regime del presidente Zine el-Abidine Ben Ali. A distanza di più di otto anni, il paese è ancora in una fase di transizione che lo rende potenzialmente fragile e che fa sì che rimangano ancora in piedi tutte le incertezze e le incognite legate all’effettiva riuscita o meno del passaggio da un regime autoritario a un sistema pienamente democratico.
Alle ultime elezioni parlamentari, del 6 ottobre, si sono piazzati al primo posto gli islamisti moderati di Ennahada con oltre il 18% dei voti, seguiti da Qalb Tounes, “Al cuore della Tunisia”, con oltre il 16%. Quest’ultimo partito è stato fondato pochi mesi fa da Nabil Karoui, che è oggi uno dei due sfidanti per il secondo turno delle presidenziali in programma per domenica prossima. Personaggio discusso, Nabil Karoui era fino a mercoledì scorso in prigione con l’accusa di evasione fiscale e, con un colpo teatrale è stato scarcerato per permettergli di fare gli ultimi giorni di campagna elettorale. Un ricco imprenditore populista che promette di combattere la povertà e di garantire diritti alle fasce sociali più povere. È padrone di una potente televisione e viene paragonato al vincitore delle elezioni italiane del 1994. Il suo avversario sarà Kaïs Saïed, giurista indipendente ma vicino alle posizioni dell’ex presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, morto il 25 luglio scorso all’età di 92 anni. Il suo programma è quello di combattere la corruzione e il terrorismo. Di favorire la sicurezza per rilanciare il turismo e la crescita economica. È favorevole al ripristino della pena di morte.
Da quanto ha annunciato l’Alta Commissione elettorale indipendente, i risultati finali delle elezioni presidenziali tunisine, tenutesi il 15 settembre, ha infatti decretato la vittoria di due candidati e la loro ammissione al secondo turno: Kaïs Saïed ha ricevuto il 18.4% dei voti mentre Nabil Karoui il 15.5%.
Qualsiasi sia il risultato delle elezioni presidenziali di domenica 13 ottobre, il nuovo capo di stato avrà il difficile compito di riconciliare le diverse anime della società tunisina e di far rinascere in loro la fiducia nelle istituzioni che sembra in gran parte andata persa dopo otto anni di stallo politico ed economico. E di definire come consolidare il processo di democratizzazione del paese e il suo grado di laicità possibile.
È utile ricordare come, dopo la riforma costituzionale del 2014, la Tunisia sia passata da un sistema puramente presidenziale (in cui il capo dello stato godeva di fatto di pieni poteri pressoché illimitati) a un sistema simile al semi-presidenzialismo francese. Nel nuovo ordine istituzionale, il presidente della repubblica mantiene prerogative importanti soprattutto nel settore della difesa, della sicurezza e dell’indirizzo di politica estera del paese, ma il suo ruolo è limitato e bilanciato da quello dell’esecutivo, espressione della maggioranza del parlamento.
Ma ciò che preoccupa maggiormente Farid e i suoi coetanei è la disoccupazione generalizzata soprattutto tra i giovani. Oggi si sta peggio di otto anni fa. Alcuni fatti di terrorismo hanno provocato il collasso del sistema turistico e messo in crisi anche il commercio collegato. Il nuovo sistema politico non riesce ad affrontare i problemi della Tunisia: corruzione, povertà, disoccupazione giovanile, una società decisamente a rischio deflagrazione.
La Tunisia è l’unico paese dove i cambiamenti auspicati dalla celebrata “primavera araba” del 2011 ha portato a un sistema più democratico e di rispetto delle libertà individuali, quando invece l’Egitto è sprofondato nuovamente in un regime autoritario mentre in Libia, in Siria e in Yemen sono in corso delle interminabili guerre.
Nonostante ciò, sul piano sociale, la frustrazione resta immensa, con una disoccupazione che ha raggiunto il 25 per cento tra i giovani, anche tra i laureati. I tunisini accusano la classe politica di essere indifferente di fronte alla povertà crescente e il non funzionamento dei servizi sociali.
È difficile fare previsioni in merito al ballottaggio presidenziale di domenica, ma va sottolineato che la maggior parte dei diversi candidati presidenziali che hanno partecipato al primo turno hanno manifestato il loro supporto a Kaïs Saïed.