La banconota da 100.000 lire libanesi è la più grande disponibile a Beirut e dintorni. Appena quattro anni fa valeva 66 dollari statunitensi e il sistema del cambio ancorato è ancora ufficialmente valido. Eppure oggi nel Paese si vive con una moltitudine di cambi, da quello legale, su cui si pagano tasse e stipendi e che abbatte il valore della banconota a 6 dollari e 60 centesimi, fino a quello “di mercato” (un modo elegante per definire il cambio nero), per cui un dollaro cambia a oltre 85.000 lire. Insomma, nell’economia reale, per avere in tasca 66 dollari servono 50 banconote del taglio più grande disponibile.
Al tempo stesso i prezzi continuano a salire, con un tasso d’inflazione vicino al 700%, ma difficile da misurare in assenza di dati ufficiali.
La crisi valutaria è lo specchio più evidente del crollo del sistema-Libano, finito in una spirale economica, politica e diplomatica da cui sembra impossibile uscire.
Sin dall’inizio dell’attuale crisi, cominciata nel 2019, si discute dell’ipotesi di abbandonare la lira e di adottare ufficialmente il dollaro statunitense come valuta allo scopo di stabilizzare l’economia libanese. Tuttavia, se da un lato la dollarizzazione è già avvenuta per alcuni settori e per alcune fasce di popolazione, la sensazione è che, senza affrontare le cause profonde dell’instabilità del sistema, non ci sia valuta che possa mitigare la crisi.
Per mettere ordine nella questione, oggi è con noi Clara Capelli, economista dello sviluppo, esperta di Medio oriente e Nord Africa.