Libano, il tempo sta scadendo

Questa volta dal Libano nessuna cronaca del disastro economico, finanziario a sociale. Oramai in rete si può trovare qualsiasi informazione, ma quello che non si riesce a trovare è la percezione della rinnovata tragedia del popolo libanese e non solo.

Quando parliamo del Libano, non ci riferiamo più solo ai libanesi nelle loro numerosissime divisioni e appartenenze religiose. Spesso ci dimentichiamo che nella terra dei cedri, ormai da anni o anche decenni, profughi palestinesi, iracheni, siriani e adesso anche egiziani e sudanesi, seppur fantasmi, sono parte integrante della quotidianità. I fantasmi in Libano sono quasi 2 milioni.

La famosa e storica percentuale del 33% circa di equilibrio fra sunniti, sciiti e cristiani, che aveva garantito almeno equilibrio e fine della guerra con gli accordi di Tāʾif, è ormai solo leggenda. Negli ultimi anni la presenza cristiana in Libano è scesa al 10%, mentre l’arrivo in massa dei profughi siriani ha sbilanciato a favore del mondo sunnita anche l’ultimo bilanciamento con la componente sciita. Non è un caso che qualcuno voglia superare l’accordo di Tāʾif per quindi poter ricalibrare il peso religioso e di appartenenza numerica. Ma la cosa “molto libanese” è che i cittadini siriani, palestinesi, iracheni etc, non sono libanesi, non hanno nessun diritto… ma sono sunniti.

È molto interessante l’ultimo discorso di Sayyed Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah, perché è la prima volta che si sdogana un possibile rapporto con la Cina. Nasrallah si è rivolto martedì agli Stati Uniti affermando che la sua «politica di assedio e sanzioni contro il Libano» non indebolirà il suo gruppo, ma piuttosto «gli alleati e l’influenza» di Washington nel Paese. «Questo non funzionerà e Hezbollah e la Resistenza non si arrenderanno», ha aggiunto. «Gli Stati Uniti stanno cercando di indebolire e isolare Hezbollah affamando le persone e ribellandole alla resistenza», ha detto, accusando gli Stati Uniti di «sfruttare gli accumuli di 40 anni in Libano».

Inoltre, Nasrallah ha accusato l’ambasciatore degli Stati Uniti in Libano, Dorothy Shea, di «fomentare i libanesi l’uno contro l’altro», in riferimento alle sue recenti osservazioni. «L’ambasciatore degli Stati Uniti non ha il diritto di dire se il governo dovrebbe andarsene. Sta anche interferendo nella natura del prossimo governo e questo è un palese intervento», ha detto Nasrallah. Ha aggiunto che l’ambasciatore americano «agisce come un sovrano militare». Riferendosi agli ultimi incontri presso la Banca Centrale, Nasrallah si è poi chiesto «che interesse ha [l’ambasciatore] intervenendo negli appuntamenti finanziari?» . Il leader di Hezbollah ha anche accusato che il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti abbia iniziato a svolgere «un ruolo esposto» in Libano.

Per quanto riguarda la terribile situazione economica e finanziaria, Nasrallah ha poi chiesto di «condurre jihad e resistenza agricola e industriale», rilevando che Hezbollah svolgerà un ruolo essenziale in questa «battaglia». «Siamo un Paese consumatore e oggi esiste la possibilità di diventare un Paese produttivo. Lo Stato ha la responsabilità di rilanciare i settori agricolo e industriale». Inoltre, ha aggiunto una nota geopolitica: «l’apertura verso l’Iraq, la Cina, l’Iran e altri paesi dà speranza ai libanesi e invia un forte messaggio agli americani e ad altri che il Paese ha altre scelte e percorsi». «Quello che stiamo attraversando oggi è la minaccia più pericolosa che può affrontare un popolo e uno Stato, ma siamo in grado, come Stato libanese e come persone, di trasformare la minaccia in una possibilità. Abbiamo l’opportunità di compiere passi molto importanti verso l’economia di stabilità». Infine, intorno a questo tema, ha accusato gli Stati Uniti di aver condotto «una feroce campagna contro la scelta cinese con lo scopo di spaventare i libanesi e impedire loro di cooperare» con Pechino.

A proposito della crisi finanziaria che impedisce al Paese qualsiasi azione in campo economico, Nasrallah ha poi affermato che «non dovremmo attenerci a un unico percorso e non dovremmo attendere l’esito dei negoziati con il Fondo monetario internazionale senza cercare altre scelte, dal momento che questi colloqui potrebbero richiedere tempo o fallire», per poi chiarire che il suo recente appello alla cooperazione economica con l’Oriente non significa «ribellarsi contro l’Occidente», e che il suo partito «è aperto ad aiuti da qualsiasi Paese del mondo tranne Israele». Tra questi Paesi rientrano anche gli Stati Uniti. Hezbollah, infatti, promette di non essere un «ostacolo» se gli Stati Uniti vorranno aiutare il Libano.

Il tempo sta scadendo
La disperazione del popolo libanese, la tragica situazione economica e l’assenza di futuro stanno lanciando il Libano nelle mani cinesi e russe. La diaspora cristiana continua con un’emorragia costante. Le rimesse dall’estero si sono azzerate come gli stessi depositi per il fallimento del sistema bancario. La bolla immobiliare è esplosa, mentre gli Stati Uniti e gli alleati del Golfo hanno ritirato i dollari dal Paese. Attenzione: quest’ultima azione non è certo l’effetto, ma una delle cause principali della crisi. Ma quale strategia sta dietro questo quadro tragico? Quale ipotesi per l’intero Medio Oriente? Qual è il posizionamento italiano, e quale il ruolo europeo?

Mentre noi italiani garantiamo al ministro degli Esteri libanese Nassif Hitti pieno appoggio al programma di formazione delle forze armate, mentre la nostra cooperazione allo sviluppo in Libano e nell’area di crisi siriana è bloccata per nostre gravissime carenze e ritardi gestionali, il Libano scivola via, con suo grande dolore, dall’Italia e dagli italiani. Nel giro di pochissimo tempo anche i cinesi potranno dire la loro nel Mediterraneo, ma non viene pronunciata una parola sulla situazione economica e finanziaria, nessun accenno.

Non dimentichiamoci che adesso i sunniti sono maggioranza, mentre la minoranza sciita è al Governo con una parte dei cristiani: quale sarà il ruolo della Turchia? Forse la tragedia libica deve farci riflettere. Un possibile cambio di protezione al mondo sunnita libanese, da quello dell’Arabia Saudita e quello turco, sarebbe l’esplosione definita dell’intera area: ma la fase di avanzata del nuovo Impero Ottomano è quasi ossessiva.

Forse l’Italia, fedele al patto atlantico, dovrebbe farsi avanti come storico amico di tutto il popolo libanese, garante e promotore della fase critica della trattativa con il Fondo Monetario Internazionale, facilitatore del dialogo per non perdere il proprio ruolo strategico anche nel Mediterraneo orientale, indispensabile e necessario, come già avvenuto in Libia. Si tratta anche di non perdere un ruolo nel vicino oriente che guarda sempre ad occidente, come la Siria. Gli Americani, in questo periodo pre-elettorale, non vogliono guerre in quest’area, e il rallentamento dell’annessione degli insediamenti in Cisgiordania ne è una prova. L’unico obiettivo di Washington è indebolire l’asse sciita e i suoi alleati nell’area. Forse, come successo dal Vietnam in poi, anche l’ultima lezione, quella irachena, non è servita a nulla. Un posizionamento cinese nel Paese sarebbe anche la conclusione del programma di peacekeeping delle Nazioni Unite. In Libano si scrive Unifil, ma i libanesi lo traducono “Italia” e “italiani”. Se gli Stati Uniti non vogliono la guerra, noi non vogliamo rivivere la tragedia di un nuovo esodo di milioni di profughi, e forse la memoria al 2015 dovrebbe farci riflettere.

La cosa più importante è agire e subito: il tempo sta scadendo.

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