Giornata internazionale per i diritti delle persone con disabilità: Armadilla in Siria

Il lavoro nell’area di Damasco per aiutare chi paga il prezzo più alto della guerra, i bambini con disabilità

In ogni guerra sono le persone più vulnerabili a pagare il prezzo più alto. Dal 2011 a oggi la crisi siriana ha prodotto più di 500mila morti e oltre 12 milioni di persone hanno dovuto abbandonare la propria casa e la propria comunità. In particolare, sono più di 6 milioni – di cui oltre 2 milioni e mezzo di bambini – le persone rimaste nel Paese per scelta o per forza. Oggi, quella siriana è la più grande comunità di sfollati interni al mondo.

Nell’invisibile comunità degli sfollati interni, c’è chi è ancora più nascosto di altri: sono le persone con disabilità, che per nascita o per colpa della guerra hanno bisogno di un supporto speciale. Una crisi che non risparmia neppure i bambini, spesso ai margini di un sistema che in guerra non riesce più a provvedere alle loro necessità.

Fedele alla propria missione, quella di contribuire a creare un mondo in cui nessuno si senta solo, Armadilla offre la propria risposta sul territorio siriano lavorando da molti anni nell’area di Damasco in collaborazione con Ufficio Otto per mille della Chiesa Valdese Italiana, OCHA, l’Ufficio di Coordinamento delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari, UNICEF per i diritti dei bambini e l’ Agenzia Italiana Cooperazione Sviluppo del Ministero degli Esteri. Qui, Armadilla collabora con l’associazione Zahret al-Madan (ZAM), che nelle periferie di Damasco rappresenta un punto di aggregazione per donne che condividono sfide e percorsi comuni, dalle difficoltà della guerra al bisogno di sostenere figli e figlie con disabilità. Una sfida che Armadilla ha raccolto costruendo una rete che va da Damasco ai partner tecnici italiani, come la Fondazione ASPHI di Bologna, la Cooperativa Open Group di Bologna e l’Università di Modena e Reggio Emilia e che in pochi anni ha portato a risultati eccellenti, dalla programmazione di dispositivi di supporto fino all’autoproduzione di protesi utilizzando stampanti 3D in un contesto in cui la difficoltà di accesso ai dispositivi medici e a percorsi riabilitativi degni è quasi insuperabile.

«Quando è entrata qui la prima volta, Hanan non sorrideva mai. Guardatela oggi, è al centro di tutte le nostre attività». A raccontarlo è Raghda, Direttrice del centro ZAM, che ogni settimana sostiene centinaia di famiglie con aiuti umanitari, con attività socio-educative e fisioterapia. Sono le piccole storie di costruttori di pace come Hanan e come Raghda a tenere viva la speranza e a permettere a tutti di pensare al futuro, anche quando le sfide sembrano impossibili.

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