Ieri il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, è andato a Gaza per incontrare i soldati e ha dichiarato che “la vittoria non sarà completa a meno che l’esercito non si espanda a Rafah”.
Ma Rafah, dichiarata “zona sicura” a inizio della guerra, è oggi il luogo più densamente abitato della Striscia di Gaza e l’ultimo lembo di terra in cui i palestinesi possono stare. Più a sud c’è soltanto la frontiera egiziana e la prospettiva di una migrazione forzata di massa.
E quindi il tempo stringe per arrivare a un accordo su una nuova pausa nei combattimenti che possa portare a un cessate il fuoco permanente.
Hamas ha dato un primo “via libera”, ma la strada per un’intesa è ancora lunga.
Israele ha colpito ancora Damasco, mentre in Libano la situazione sembra tranquilla, anche se si sospetta ancora una volta l’uso di fosforo bianco in zone civili.
L’Australia sta pensando di riattivare i finanziamenti a UNRWA, sospesi lo scorso fine settimana in seguito alle accuse mosse da Israele contro 12 dipendenti dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi.