È inevitabile guardare con molta preoccupazione a Rafah.
Sabato l’IDF ha ordinato ai residenti del centro di Rafah di evacuare, segnalando una nuova espansione delle operazioni militari in città, dopo che lunedì scorso Israele aveva occupato e chiuso il varco di frontiera di Rafah con l’Egitto ordinando a 100.000 persone che vivevano nei quartieri orientali di spostarsi nella “zona umanitaria estesa” di al-Mawasi, sulla costa del Mediterraneo, che altro non è che una striscia di sabbia già piena di centinaia di migliaia di sfollati, a fronte di scorte inadeguate di cibo, acqua e assistenza sanitaria.
Si stima che da sabato 360.000 persone abbiano lasciato Rafah.
E infatti negli ultimi 2 giorni vediamo bombardamenti e azioni militari su tutta la Striscia di Gaza che i pochi testimoni sul campo definiscono tra i peggiori di questi 7 mesi di assedio.
A Rafah i bombardamenti si sono intensificati su tutta la città, seguendo un copione che abbiamo già visto a Gaza City e a Khan Younis appena prima dell’ingresso delle truppe di terra.
E infatti mentre vi parlo l’IDF sta già combattendo nel nord della città di Rafah, mentre i carri armati avanzano.
L’Egitto ha annunciato ieri la sua intenzione di unirsi al Sud Africa nella richiesta alla ICJ di imporre nuove misure urgenti a Israele nella causa in corso.
Venerdì l’Assemblea Generale delle UN ha votato a stragrande maggioranza a favore della richiesta palestinese di diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite.
L’assemblea ha approvato con 143 voti favorevoli, 9 contrari e 25 astensioni una risoluzione che invita il Consiglio di Sicurezza UN a dare piena adesione allo Stato di Palestina, che oggi ha soltanto status di osservatore senza diritto di voto.
Un voto simbolico, ma senza effetti pratici.