Obiettivo 10: Ridurre le disuguaglianze per promuovere lo sviluppo sostenibile

A cura del Dipartimento Programmi

In questo Quaderno riproponiamo il tema della disuguaglianza, ritenuto da molti analisti come una delle principali cause di conflitti e di malessere nel mondo e causa delle carenze per il processo di sviluppo umano sostenibile. Quali politiche vanno realizzate per ridurla a livello globale e locale? Considerando come riferimento strategico l’Agenda 2030, l’obiettivo n. 10, propone la riduzione programmata delle disuguaglianze e mete concrete da raggiungere entro il prossimo decennio. Una analisi della situazione attuale nel mondo e in Italia ci è data, con aggiornamenti puntuali, dal Forum Disuguaglianze e Diversità. Nato da un’idea della Fondazione Lelio e Lisli Basso, vede la partecipazione di otto organizzazioni di cittadinanza attiva e di un gruppo di ricercatori e accademici. Attraverso l’incontro e la collaborazione tra il mondo della ricerca e quello della cittadinanza attiva intende disegnare proposte generali per l’azione collettiva e pubblica tese a ridurre le disuguaglianze. Altro riferimento che abbiamo preso in considerazione è il documento di Oxfam “Il virus della disuguaglianza“.

Nel mondo i 10 uomini più ricchi hanno visto la loro ricchezza aumentare di 540 miliardi di dollari dall’inizio della pandemia: si tratta di una somma che sarebbe più che sufficiente a pagare il vaccino per tutti gli abitanti del pianeta e ad assicurare che nessuno cada in povertà a causa del virus.

Basti pensare che tra marzo e dicembre 2020, mentre la pandemia innescava la più grave crisi occupazionale degli ultimi 90 anni, lasciando centinaia di milioni di persone disoccupate o sotto-occupate, il valore netto del patrimonio di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, è aumentato di 78,2 miliardi di dollari. A livello globale, le donne sono maggiormente impiegate proprio nei settori professionali più duramente colpiti dalla pandemia. Se il livello di occupazione tra uomini e donne fosse uguale in questi settori, 112 milioni di donne non correrebbero più il rischio di perdere il proprio lavoro e quindi il proprio reddito. Ciò è evidente in Medioriente e Africa del nord, dove le donne rappresentano solo il 20% della forza lavoro ma le perdite di posti di lavoro dovute al Covid-19, secondo le stime, incideranno sull’occupazione femminile per il 40%. In generale, le donne rappresentano oltre il 70% della forza lavoro impiegata in professioni sanitarie o lavori sociali e di cura. Questo le espone a maggiori rischi in tempo di pandemia – sanitari ma anche collegati alla tutela del reddito. In Italia, a metà 2019 – secondo gli ultimi dati disponibili – il top-10% (in termini patrimoniali) della popolazione possedeva oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Allo scoppio dell’emergenza sanitaria il grado di resilienza economica delle famiglie italiane era estremamente diversificato, con poco più del 40% degli italiani in condizioni di povertà finanziaria, ovvero senza risparmi accumulati sufficienti per vivere, in assenza di reddito o altre entrate, sopra la soglia di povertà relativa per oltre tre mesi. Lo confermano due indagini qualitative della Banca d’Italia condotte nel corso del 2020: in seguito al primo lockdown metà delle famiglie italiane dichiarava di aver subito una contrazione del proprio reddito ed il 15% di aver visto dimezzarsi le proprie entrate, con solo il 20% dei lavoratori autonomi che non aveva subito contraccolpi. A fine estate nel 20% delle famiglie con figli minori di 14 anni uno o tutti e due i genitori avevano ridotto l’orario lavorativo o rinunciato al lavoro per accudirli. Mentre il 30% dichiarava di non disporre di risorse sufficienti per far fronte a spese essenziali nemmeno per un mese, in assenza di altre entrate.

1. Disuguaglianze nel mondo

Rispetto a 30 anni fa, l’assenza di equità nella distribuzione dei redditi si è diffusa in un numero allarmante di paesi e, dalla fine della Seconda guerra mondiale, si è attestata ai livelli più alti nei paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (OCSE).

Le disparità di reddito risultano inoltre più evidenti se abbinate a una distribuzione della ricchezza non omogenea, specie in paesi con livelli di ineguaglianza già elevati, come gli Stati Uniti. Perfino in paesi di tradizione più ugualitaria come Germania, Danimarca e Svezia, si è assistito a un accentuarsi del divario tra ricchi e poveri.

Gli economisti hanno istituito una relazione tra globalizzazione e convergenza del reddito e la tendenza rilevata va chiaramente nel senso di una riduzione delle ineguaglianze di reddito tra i paesi dovuta, da un lato, al rallentamento nella crescita dei paesi più ricchi e, dall’altro, alla rapida crescita sostenibile in Cina e, più recentemente, in India.

Ad ogni modo, la tendenza è meno marcata rispetto a quanto molti avessero inizialmente previsto. Senza contare che, di recente, l’impulso alla crescita nei paesi in via di sviluppo ha coinciso con l’aumento contestuale dei livelli di ineguaglianza fino a raggiungere, o in alcuni casi superare, i livelli delle economie più avanzate.

Conciliare queste ineguaglianze interne o reciproche tra stati non è compito facile malgrado il fatto che, tutto sommato, stando ad alcune stime, il coefficiente di Gini globale (che misura la concentrazione o dispersione di dati) si sia ridotto negli ultimi 20 anni; questo è in larga parte dovuto al contrarsi del reddito dei lavoratori nei paesi più avanzati.

Ciononostante, e fatta eccezione per i paesi meno egualitari, il dato continua a superare in misura non trascurabile il livello di ineguaglianza interno ai singoli paesi. La comprensione delle dinamiche legate all’ineguaglianza e delle loro ripercussioni all’interno dei singoli paesi nonché nei loro rapporti reciproci costituisce una delle maggiori sfide per gli studiosi ed è tra gli argomenti al centro dell’agenda per lo sviluppo post-2015.

È evidente che l’ineguaglianza può rappresentare una seria minaccia alla stabilità sociale e politica. È altresì opinione sempre più diffusa che possa minare la crescita sostenibile.

Come emerso da uno studio del Fondo monetario internazionale (FMI), un maggiore equilibrio nella distribuzione dei redditi prolungherebbe gli effetti delle misure adottate dagli stati per la crescita economica più di altre variabili quali il libero scambio, bassi livelli di corruzione del governo, gli investimenti esteri e un debito estero non elevato.

L’ineguaglianza mette a repentaglio il conseguimento degli obiettivi economici di ampio respiro proposti dall’Open Working Group (OWG) on Sustainable Development Goals dell’Assemblea Generale dell’ONU, tra i quali figurano l’eradicazione della povertà, la valorizzazione della dignità del lavoro e la modernizzazione delle strutture economiche. L’ineguaglianza non ha nulla a che fare con il destino o con la fortuna e può essere contrastata con politiche e riforme mirate. Se la ricerca di soluzioni adeguate spetta ai decisori politici nazionali e regionali, ricoprono un ruolo fondamentale anche le azioni e le misure collettive promosse a livello internazionale.

L’Open Working Group (OWG) ha proposto un obiettivo focalizzato proprio sull’ineguaglianza, che si articola in 7 target e tre potenziali metodi per realizzare tali intenti.

Il primo target mira ad accelerare l’aumento del reddito della popolazione delle fasce più basse (pari al 40% della popolazione totale), superando la crescita media nazionale; il secondo punta all’empowerment, all’inclusione sociale ed economica di tutti i cittadini senza discriminazioni di razza, etnia o status economico; il terzo, infine, si propone di garantire pari opportunità e di ridurre le ineguaglianze di risultato partendo dall’eliminazione delle discriminazioni attraverso politiche e azioni adatte allo scopo.

Altri quattro target si concentrano sull’adozione progressiva di politiche per la promozione di una maggiore uguaglianza avvalendosi di: politiche fiscali, regolamentazione e controllo delle istituzioni e dei mercati finanziari globali, politiche per l’incentivazione di aspetti quali l’ordine, la sicurezza e la responsabilità nei flussi migratori e politiche a difesa della mobilità delle persone, oltre alla questione della giusta ammissione di rappresentanti dei paesi in via di sviluppo al sistema della governance globale e la garanzia di espressione degli stessi.

I mezzi proposti per l’implementazione di tali azioni sono però vaghi e si fatica a quantificare e a sviluppare indicatori capaci di misurare i risultati nel senso di una riduzione dell’ineguaglianza.

Ecco perché sono necessarie ulteriori riflessioni in merito.

Tra le possibili azioni proposte ricordiamo:

  1. affermare il principio di adozione di un trattamento speciale e differenziale per i paesi meno progrediti;
  2. fornire assistenza ufficiale allo sviluppo e incoraggiare i flussi finanziari, inclusi gli investimenti diretti all’estero (IDE) verso paesi in condizioni speciali, quali i paesi meno progrediti, i paesi Africani, piccoli stati insulari in via di sviluppo e paesi in via di sviluppo senza vie di accesso al mare;
  3. ridurre il costo del trasferimento delle rimesse degli emigrati e mantenerlo al di sotto del 5%.

Il successo dei target e dei mezzi scelti per realizzare gli SDG 10 e 17 ai fini della riduzione dell’ineguaglianza entro il 2030 dipenderà dall’affidabilità degli indicatori selezionati per la direzione e il controllo del processo, nonché dall’effettiva volontà politica di cooperare a livello regionale e internazionale per riequilibrare il sistema globale e rafforzare la coerenza delle politiche adottate.

Affrontare le ineguaglianze tra paesi richiede un potenziamento dell’impegno politico e fiscale a livello nazionale al fine di poter dare avvio a una serie di politiche combinate con l’obiettivo di risollevare la situazione generale e, in particolare, di aumentare il reddito di coloro che occupano le fasce più basse della società.

Due variabili fondamentali sono il lavoro e gli stipendi. La creazione di posti di lavoro rimane l’unica strategia per combattere efficacemente la povertà su base sostenibile, specie quando la forza lavoro è in rapida crescita.

L’aumento dei salari è anche necessario per potenziare la domanda interna, riconosciuta ormai come componente essenziale di una crescita sostenibile. I paesi dovranno dotarsi di infrastrutture adeguate e raggiungere una capacità produttiva tale da creare le condizioni per un’economia maggiormente diversificata; per fare questo bisognerà liberarsi dalla dipendenza dalle materie prime e perseguire obiettivi in attività industriali diversificate in attuazione della politica industriale.

Per far fronte agli squilibri derivanti dal sistema economico internazionale sarà necessario adottare riforme globali rivolte al sistema finanziario, degli investimenti e del commercio, ma anche al sistema monetario e fiscale al fine di ridurre la volatilità.

La stipula di apposite convenzioni internazionali contro l’elusione e l’evasione fiscale (in quanto dissuasori della concorrenza fiscale) e contro il ricorso ai paradisi fiscali per aggirare gli oneri di tipo fiscale consentirebbe di finanziare progetti di investimento a lungo termine utili per portare avanti con profitto un percorso di sviluppo diffuso e sostenibile.

Una percentuale compresa tra l’8 e il 15% della ricchezza finanziaria netta delle famiglie è infatti attualmente custodita nei paradisi fiscali, provocando una perdita di entrate pubbliche compresa tra 190 e 290 miliardi di dollari americani su base annua.

La metà di questi proviene dai paesi denominati in via di sviluppo, che sono altresì passibili di perdite che superano i 160 miliardi di dollari annui per un uso improprio del transfer pricing o della cosiddetta sottocapitalizzazione (thin capitalization) a causa del trasferimento degli utili contabili verso paesi a tassazione agevolata o assente. Al fine di mobilitare le risorse interne, si potrebbe provvedere a rendere obbligatoria e ampliare l’Iniziativa sulla trasparenza delle industrie estrattive (EITI).

Mentre una riforma di portata globale darà risultati solo sul lungo termine, a livello regionale si potrebbe intervenire in favore di una maggiore stabilità con regolamenti e istituzioni alternativi in grado di salvaguardare i paesi contro shock finanziari, senza prescindere dal potenziamento delle capacità degli individui, da una cooperazione interna ai paesi del Sud del mondo e da una cooperazione triangolare oltre che in ambito fiscale.

2. Un’agenda trasformativa per la lotta alla disuguaglianza in Italia

Per affrontare le vulnerabilità e i divari crescenti a seguito della pandemia è necessario adottare, anche in Italia, politiche che possano incidere sulle cause strutturali delle disuguaglianze economiche e sociali.

Gli ambiti di azione sono molteplici e il Forum Disuguaglianze e Diversità propone alcune linee politiche e operative.

Ridare potere al lavoro.

Al netto delle misure compensative a carico del welfare state, sono necessari interventi distributivi, che limitino la svalutazione del fattore lavoro e escludano il ricorso a forme contrattuali atipiche e poco remunerate, anche attraverso l’innalzamento dei salari minimi. Va inoltre rafforzata la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Rafforzare la portata redistributiva del sistema nazionale di imposte e trasferimenti. Sul fronte delle politiche impositive, il carico fiscale va spostato dal lavoro e dai consumi su ricchezza e redditi da capitale. L’annunciata riforma della tassazione dei redditi delle persone fisiche deve prevedere un ampliamento della base imponibile e il potenziamento della progressività.

Investire in un’istruzione pubblica di qualità e nel contrasto alla povertà educativa. Va incrementata la spesa pubblica per l’istruzione, per cui l’Italia è tristemente fanalino di coda nel confronto internazionale.

Le proposte strutturali per contrastare la povertà educativa dovrebbero inoltre contemplare: il miglioramento delle strutture scolastiche e una migliore gestione del tempo scuola, un incentivo all’innovazione didattica e pedagogica, il rafforzamento dell’istruzione professionale, la creazione di zone di educazione prioritaria tra le aree a maggior incidenza di abbandono precoce, il potenziamento delle comunità educanti (reti di istituti scolastici e altre realtà educative/formative territoriali extrascolastiche).

Favorire la mobilità intergenerazionale.

Il grado di istruzione, le condizioni economiche, lo status sociale e occupazionale mostrano in Italia una forte persistenza nel passaggio generazionale. Per favorire maggiore uguaglianza di opportunità, va considerata, oltre al miglioramento delle condizioni di accesso all’istruzione di qualità, l’opportunità di una dote universale per i giovani e il rafforzamento del grado di concorrenza nei settori meno competitivi in cui il premio di background sociale a parità di istruzione è più persistente.

2. Rapporto Oxfam “Il virus della disuguaglianza”

Lo scoppio della pandemia e la recessione economica che ne è conseguita, la più grave dai tempi della Grande Depressione, hanno stravolto la vita di tutti, ma gli impatti più devastanti hanno interessato le fasce più fragili della popolazione, acuendo vulnerabilità e divari preesistenti e facendo affiorare dei nuovi. Questo rapporto, a cura di Oxfam Italia, presenta un’analisi degli effetti dello shock pandemico sulle condizioni economiche delle famiglie italiane con prime valutazioni sugli impatti distribuzionali della crisi. L’analisi è arricchita da un’indagine qualitativa sul campo che restituisce, attraverso le testimonianze di chi si trova ogni giorno a relazionarsi con persone in condizioni di fragilità, una fotografia dell’estremizzazione territoriale delle vulnerabilità lungo molteplici dimensioni del benessere individuale. L’indagine, condotta tra gli operatori dei Community Center che vedono la collaborazione di Oxfam con partner locali e la Diaconia Valdese, per evidenti limiti nel numero di persone intervistate e di territori coinvolti, non ha la pretesa di esaustività ma vuole far riflettere il lettore sulla necessità di interventi adeguati e coerenti in risposta ai bisogni di lungo corso ma anche a quelli emersi per effetto della pandemia. Nella parte conclusiva Oxfam propone una serie di raccomandazioni di policy che a livello nazionale sono di prioritaria importanza per incidere sulle cause strutturali delle disuguaglianze. Perché le disuguaglianze non sono né causali né ineluttabili, ma frutto di precise scelte politiche. Nel guardare al post-pandemia, la ripresa del nostro Paese non può che avvenire con un’agenda trasformativa in cui la promozione di società eque ed inclusive sia l’obiettivo ultimo a cui tendere.

LA DISUGUAGLIANZA ECONOMICA IN ITALIA AL TEMPO DEL COVID-19

La pandemia da coronavirus si è abbattuta su un’Italia profondamente disuguale. Le stime pre-crisi, che si arrestano per il momento alla fine del primo semestre del 2019, fotografano ampi squilibri nella distribuzione della ricchezza netta nazionale, acuitisi a partire dall’inizio del nuovo millennio.

Alla fine del mese di giugno 2019 la distribuzione della ricchezza nazionale netta vedeva il 20% più ricco degli italiani detenere quasi il 70% della ricchezza nazionale, il successivo 20% (quarto quintile) essere titolare del 16,9% della ricchezza, lasciando Il top-10% (in termini patrimoniali) della popolazione italiana possedeva oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Confrontando il vertice della piramide della ricchezza con i decili più poveri della popolazione italiana, il risultato appariva ancora più sconfortante. La ricchezza del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41% della ricchezza nazionale netta) era superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero dei nostri connazionali. La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco (che deteneva a fine giugno 2019 il 22% della ricchezza nazionale) valeva 17 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana.

Nella prima decade del millennio la quota di ricchezza del percentile più ricco degli italiani ha visto un calo fino al 2009 (dal 22,1% al 17,6%), seguito da una crescita nei successivi sette anni (fino al picco del 24% nel 2016) e una nuova, più lieve, contrazione nell’ultimo triennio. Nei 20 anni intercorsi tra l’inizio del nuovo millennio e il primo semestre del 2019, le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10% più ricco dei nostri connazionali e dalla metà più povera della popolazione italiana hanno mostrato un andamento divergente. La quota di ricchezza detenuta dal top-10% è cresciuta del 7,6% nel periodo 2000-2019, mentre la quota della metà più povera degli italiani è lentamente e costantemente scesa (ad eccezione di un lieve “recupero” nel periodo 2017-2019), riducendosi complessivamente negli ultimi 20 anni del 36,6%. Gli squilibri distribuzionali nelle stime di Credit Suisse si sono acuiti nel ventennio 2000-2019: l’andamento dell’indice di Gini della ricchezza italiana ha registrato un aumento di 7 punti (con, in particolare, un incremento di oltre 9 punti tra il 2005 e il 2016 e un calo di poco meno di 2 punti tra il 2017 e il 2019).

Ricchezza e resilienza economica delle famiglie italiane alla vigilia della pandemia

La ricchezza costituisce una delle dimensioni del benessere economico individuale. Oltre a garantire reddito se “messa a frutto”, la ricchezza influenza la possibilità di un individuo di investire sul proprio futuro, condiziona le opportunità d’istruzione, facilita l’accesso al credito, offre la possibilità di rifiutare condizioni di lavoro inique, garantisce la libertà di assumere rischi per realizzare progetti imprenditoriali. La ricchezza determina anche la capacità di influenzare le decisioni pubbliche; è, in particolare, una misura del potere di condizionamento, troppo spesso indebito e volto a tutelare condizioni di privilegio, dei processi decisionali da parte di chi occupa posizioni apicali della piramide distributiva. La ricchezza misura inoltre la resilienza economica delle persone ovvero la loro capacità di resistere a shock di spesa attesi o imprevisti come quelli legati all’insorgere di una malattia o alla perdita dell’impiego che comportano la riduzione finanche l’azzeramento del reddito. Avere informazioni accurate su come la ricchezza sia distribuita tra i cittadini è propedeutico per poter valutare quanto diverse siano le capacità delle persone di investire su sé stessi, resistere a improvvise situazioni di difficoltà o avere più o meno potere d’influenza e quanto tali differenze siano socialmente accettabili o meno. Nella situazione straordinaria di fronte alla quale ci si è trovati nel mese di febbraio 2020, con l’arrivo dello shock pandemico e l’introduzione da parte del governo di misure restrittive che hanno impattano le opportunità lavorative e la capacità reddituale di ampi strati della popolazione, le famiglie italiane si sono trovate, nella condizione di dover attingere a tutte le risorse economiche a propria disposizione per far fronte alla caduta di reddito e mantenere uno standard di vita adeguato. Le disparità patrimoniali preesistenti (più marcate nelle poste finanziarie dei bilanci delle famiglie) si sono così tradotte in un rischio estremamente diversificato per i cittadini di veder acuite, senza un adeguato e tempestivo supporto pubblico, le proprie condizioni di vita, a partire dalle fasce in condizione di maggiore disagio economico. Secondo le stime della Banca d’Italia, poco più del 40% della popolazione italiana versava, all’inizio della pandemia, in condizioni di povertà finanziaria ovvero faceva parte di un nucleo familiare che non disponeva di risparmi accumulati sufficienti per vivere sopra la soglia di povertà relativa per oltre tre mesi.

Per risparmi cumulati si intendono le sole attività finanziarie e non quelle reali (difficilmente liquidabili in tempi brevi) al netto dell’indebitamento. La scelta di escludere le poste negative dei bilanci familiari rende chiaramente conservativa (i.e. sottostimata) la stima della povertà finanziaria. La soglia di povertà relativa considerata nella definizione di povertà finanziaria è data dal 60% del reddito lordo (annuale) equivalente mediano. Le famiglie in “povertà finanziaria” traevano il loro reddito da fonti diversamente esposte alle misure di contenimento. Ad esempio, i redditi da trasferimenti, come le pensioni, erano isolati dalle ricadute occupazionali; per contro, i lavoratori autonomi erano presumibilmente più esposti di quelli alle dipendenze perché difficilmente avevano accesso a strumenti assicurativi contro la mancanza di lavoro; tra i lavoratori alle dipendenze era infine presumibile che quelli con contratti a termine avrebbero subito pressioni maggiori vista la difficoltà di raggiungere i requisiti minimi per l’accesso ai sussidi disoccupazione. Le analisi della Banca d’Italia prospettavano inoltre che, a parità di risorse economiche, le pressioni finanziarie sarebbero state maggiori per le famiglie che non possedevano l’abitazione di residenza Analoghe stime e considerazioni su rischi diversificati di resilienza economica all’inizio della pandemia sono state elaborate dall’economista Salvatore Morelli: per il 40% circa della popolazione adulta in Italia (20 milioni di persone) il cuscinetto finanziario risultava pressoché inesistente quando la pandemia ha colpito il nostro Paese. Si tratta di un ampio gruppo di persone, con un valore medio del risparmio di circa 1.000 euro, non in grado di fare affidamento sui soli risparmi liquidabili e sopravvivere sopra la soglia di povertà assoluta per oltre tre mesi. Nella metà meno abbiente di questo gruppo figuravano 10 milioni di persone più povere con un risparmio medio di circa 300 euro.

Redditi degli italiani nell’anno pandemico, redditi e consumi attesi, resilienza finanziaria: un’analisi quali-quantitativa

Due indagini straordinarie condotte tra la fine di aprile e l’inizio di maggio e tra la fine di agosto e l’inizio di settembre 2020, da parte della Banca d’Italia, hanno permesso di fotografare qualitativamente la situazione economica delle famiglie italiane, il loro grado di resilienza e le loro aspettative in due fasi diverse dell’anno pandemico corrispondenti all’applicazione di distinte misure restrittive e a peculiari interventi pubblici a sostegno del reddito, del lavoro, delle famiglie e degli operatori economici.

L’indagine primaverile ha rilevato come nelle fasi più rigide delle misure di contenimento dell’epidemia (lockdown primaverile) oltre la metà degli individui intervistati abbia subito una contrazione del reddito, anche a fronte di strumenti di sostegno ricevuti. Per il 15% degli intervistati il reddito si era più che dimezzato. L’impatto più negativo ha riguardato i lavoratori autonomi: solo il 20% tra loro non ha visto il proprio reddito calare nel periodo del lockdown, mentre per oltre un terzo degli indipendenti la contrazione ha superato il 50%. La metà degli intervistati immaginava inoltre che il proprio reddito avrebbe avuto una riduzione, sebbene di intensità minore, Dei risparmi liquidabili (desunti dall’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane relativa al 2016) fanno parte i depositi e i risparmi bancari e postali, i crediti verso amici e familiari e gli oggetti di valore. Il valore medio della “ricchezza liquida” di tale gruppo aumenterebbe di poco, attestandosi a 400 euro circa, se si considerassero anche i titoli obbligazionari e azionari e i risparmi accumulati in fondi pensione e assicurazione vita.

Quasi il 40% del campione (con picchi di oltre il 50% tra i disoccupati e i dipendenti a tempo determinato) dichiarava di non riuscire a fare affidamento alle proprie riserve finanziarie per oltre 3 mesi per far fronte ai consumi essenziali o per il pagamento delle rate dei debiti, portando la Banca d’Italia ad aggiornare al 55% (dal 40% circa pre-pandemico) la stima della percentuale della popolazione residente in condizioni di povertà finanziaria. Contestualmente l’emergenza sanitaria ed economica risultava incidere negativamente sulle aspettative di spesa delle famiglie italiane: quasi il 60% degli intervistati riteneva che anche al termine dell’epidemia le spese per beni non essenziali sarebbero state inferiori ai livelli pre-crisi. L’indagine qualitativa di fine agosto rivelava un lieve miglioramento nelle condizioni correnti e prospettiche dei nostri connazionali. Maggiore pessimismo sulle proprie condizioni economiche veniva espresso da nuclei con capofamiglia lavoratore autonomo, presumibilmente influenzati dalle preoccupazioni degli impatti della pandemia sulla propria attività. Il numero dei componenti occupati si è ridotto per poco più di un quinto dei nuclei familiari. Per oltre il 20% delle famiglie con figli minori di 14 anni la necessità di accudire i figli ha portato a una riduzione dell’orario lavorativo o alla rinuncia al lavoro. Il 30% dichiarava di non disporre di risorse liquide sufficienti per far fronte a spese essenziali nemmeno per un mese in assenza di altre entrate.

Gli effetti della pandemia hanno subito un’attenuazione grazie alle misure di sostegno al reddito come la CIG, l’assegno ordinario del Fondo di integrazione salariale e dei Fondi di solidarietà, le indennità di disoccupazione, il reddito di cittadinanza, il reddito di emergenza, le misure di sostegno agli autonomi e ai professionisti.

Circa un terzo delle famiglie ha beneficiato di almeno una forma di supporto tra marzo e agosto (60% tra i disoccupati e 40% tra i lavoratori autonomi). Anche le condizioni reddituali hanno segnalato una ripresa rispetto alla rilevazione primaverile pur risultando ancora ben al di sotto dei livelli pre-pandemici. Poco meno del 30% del campione ha dichiarato che il proprio reddito si è contratto rispetto al periodo pre-lockdown (contro il 50% della prima rilevazione) e anche l’entità del calo è stata inferiore rispetto alla rilevazione primaverile. Solo il 6% degli intervistati ha riportato una contrazione del reddito superiore al 50% (contro il 15% del campione intervistato ad aprile-maggio). Le aspettative economiche delle famiglie rilevate nella seconda indagine sono divenute meno pessimistiche rispetto alla primavera. La quota di famiglie che attendeva un calo del reddito nei successivi 12 mesi si è dimezzata, pur rimanendo alta, al 25%. Preoccupazioni sul netto peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro nei dodici mesi successivi all’intervista sono state espresse da oltre un quarto delle famiglie con prospettive occupazionali più allarmanti per capofamiglia con contratto a termine e lavoratore autonomo. Tra i disoccupati meno di un quinto si aspettava di essere in grado di trovare un nuovo lavoro nell’arco di un anno. L’indagine rilevava inoltre una forte contrazione dei consumi e una maggiore propensione al risparmio sia per motivi precauzionali (a fronte del rischio di diminuzione del proprio reddito) sia per paura di contagio (per particolari spese legate ad attività turistiche e ricreative). Un primo bilancio quantitativo, riferito al primo semestre dell’anno pandemico, cristallizza una contrazione del reddito di mercato pro-capite (a valori correnti) delle famiglie di 8,8% rispetto al primo semestre del 2019. Una contrazione più acuta delle due crisi precedenti (la crisi finanziaria del 2007-2008 e quella dei debiti sovrani del 2010-2011). Il calo del reddito disponibile lordo pro-capite è risultato invece meno intenso (-3,8% rispetto ai primi sei mesi del 2019, paragonabile alle due crisi precedenti) grazie alla massiccia crescita dei trasferimenti sociali netti. Il calo dei consumi ha prodotto un risparmio netto di 51,6 miliardi di euro con un tasso del risparmio triplicato (dal 2,8% al 9,2%) rispetto alla fine del 2019.

Nel primo semestre del 2020 le famiglie italiane hanno inoltre accresciuto la loro ricchezza finanziaria

grazie a un accreditamento netto pari a 58,8 miliardi (aumento delle attività per 33 miliardi e riduzione di passività per circa 26 miliardi di euro).

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI DI POLICY

Dal locale al nazionale: come incidere sulle cause strutturali delle disuguaglianze

La moderna disuguaglianza, o meglio le tante disuguaglianze (economiche, sociali, di riconoscimento, spaziali, di genere) non sono né casuali né ineluttabili. I divari economici sono il risultato di precise scelte politiche che hanno portato negli ultimi decenni a un profondo mutamento nella distribuzione del potere economico tra lavoro e proprietà d’impresa, all’affiorare di nuovi e potenti monopoli, a un eccesso di finanziarizzazione dell’economia. Un significativo peso ha avuto l’indebolimento delle funzioni dello Stato, una graduale esclusione di ampi settori della società dalla vita sociale e politica “controbilanciata” da un accresciuto condizionamento delle scelte dei decisori politici da parte di portatori di interessi particolari, a difesa della propria condizione di privilegio. Le crescenti distanze economiche tra individui si trasformano in barriere sociali e alimentano un profondo senso di inquietudine civica e ingiustizia. Le fratture all’interno di una società in cui pochi fanno significativi balzi in avanti mentre molti arretrano, restano fermi o fanno solo passi modesti verso un futuro migliore possono portare repentinamente allo svilimento del patto sociale, a intolleranza, a una sfiducia, non immotivata, nei confronti delle istituzioni, a processi di disgregazione politica, instabilità e derive autoritarie. Chi contrasta l’acuirsi delle disuguaglianze – e siamo in tatti a farlo – non è fautore di un livellamento economico-sociale e di bieco egualitarismo, ma valorizza l’uguaglianza nella diversità e cerca di dare impulso alla creazione di società più eque, mobili e dinamiche in cui le traiettorie e le distanze socio-economiche tra gli individui non siano frutto dell’esercizio di potere indebito e non derivino da vantaggi ingiustificabili. Sono tanti gli interventi di natura pre-distributiva e redistributiva in grado di contrastare efficacemente le elevate e crescenti disuguaglianze.

Al netto delle considerazioni di policy sul rafforzamento dei sistemi di welfare comunitario (da considerare seriamente per il PNRR), raccomandiamo alcuni interventi strutturali, a valenza nazionale, coerentemente con i focus di questo briefing e con le sfide aperte del nostro Paese:

Ammodernamento dei sistemi di protezione dei redditi

La pandemia ha rivelato le insufficienze dei sistemi di protezione dei redditi, incapaci di fornire in tempi ordinari, risposte adeguate a un mondo del lavoro contraddistinto dalla frammentazione delle tipologie contrattuali e delle tutele di welfare e da retribuzioni fin troppo esigue per molti lavoratori; sistemi che sottovalutano inoltre fortemente i rischi di shock non-standard di reddito. La crisi che stiamo attraversando rafforza la necessità di un sistema di welfare che distingua fra i rischi di disoccupazione associati all’ordinario andamento del mercato del lavoro, e rischi di disoccupazione straordinari dovuti a gravi crisi sistemiche e che contempli misure di protezione da rischi di disoccupazione ordinaria per i lavoratori autonomi e non standard.

Ridare potere al lavoro

Al netto delle misure compensative a carico del welfare state, sono necessari interventi predistributivi che limitino la svalutazione del fattore lavoro e escludano il ricorso a forme contrattuali atipiche e poco remunerate anche attraverso l’innalzamento dei salari minimi. Sul fronte predistributivo va inoltre rafforzata la partecipazione dei lavoratori alla gestione (e alla proprietà) delle imprese.

Sistemi fiscali equi e progressivi

Va rafforzata la portata redistributiva del sistema nazionale di imposte e trasferimenti. Sul fronte delle politiche impositive, il carico fiscale va spostato dal lavoro e dai consumi su ricchezza e redditi da capitale. L’annunciata riforma della tassazione dei redditi delle persone fisiche deve prevedere un ampliamento della base imponibile e l’aumento del grado di progressività impositiva.

Investimenti in un’istruzione pubblica di qualità e contrasto alla povertà educativa

Va incrementata la spesa pubblica per l’istruzione, per cui l’Italia è tristemente fanalino di coda nel confronto internazionale. Se inoltre uno dei punti di forza nella narrazione sul contrasto al fallimento formativo è rappresentato dal riconoscimento della buona tenuta educativa e didattica della scuola primaria, il carattere fondativo dei primi anni di istruzione va rafforzato. Occorrono interventi a monte come una diffusione più ampia degli asili nido, il potenziamento della scuola d’infanzia con particolar riguardo alle aree periferiche, e, in modo flessibile, del tempo prolungato negli istituti comprensivi, soprattutto nel Mezzogiorno. Proposte strutturali per contrastare la povertà educativa devono contemplare il miglioramento delle strutture scolastiche e una migliore gestione del tempo scuola, un incentivo all’innovazione didattica e pedagogica (peer education, tutoring e mentoring, coordinamento e programmazione condivisa tra i docenti, ecc.), il rafforzamento dell’istruzione professionale, la creazione di zone di educazione prioritaria tra le aree a maggior incidenza di abbandoni precoce, il potenziamento delle comunità educanti (reti di istituti scolastici e altre realtà educative/formative territoriali extrascolastiche).

Valorizzazione del capitale umano e accesso alla conoscenza

La sovraistruzione costituisce una manifestazione del fenomeno di mismatch tra domanda e offerta di lavoro connotata dall’incapacità del mercato del lavoro di assorbire l’offerta di lavoro qualificato che genera un mancato ritorno economico e sociale degli investimenti sostenuti a livello individuale e collettivo. La carenza di posizioni lavorative qualificate e di prospettive di progressione di carriera contraddistingue purtroppo in modo negativo il nostrosistema produttivo caratterizzato da una peculiare frammentazione e da un forte sottoutilizzo del capitale umano. L’inversione di tendenza e la creazione di posti di lavoro qualificato passa anche per processi di innovazione da incentivare e accompagnare con un supporto pubblico al trasferimento tecnologico alle piccole e medie imprese italiane fortemente limitate nell’accesso alla conoscenza.

Favorire la mobilità intergenerazionale

Il grado di istruzione, le condizioni economiche, lo status sociale e occupazionale mostrano in Italia una forte persistenza nel passaggio generazionale. Per favorire maggiore uguaglianza di opportunità, va considerata, oltre al miglioramento delle condizioni di accesso all’istruzione di qualità, l’opportunità di una dote universale per i giovani e il rafforzamento del grado di concorrenza nei settori meno competitivi in cui il premio di background sociale a parità di istruzione è più persistente.

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